Il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale eterologa, con l’uso di un elemento estraneo alla coppia richiedente (spermatozoi, cellule uovo, embrione), è divenuto negli ultimi anni sempre più frequente ed ha ricevuto l’avvallo da parte di leggi, che ne affermano la liceità in alcuni Stati (Gran Bretagna, Spagna, Svezia, etc.).
Dopo i primi entusiasmi, fomentati dall’ideologia che tutto ciò che è tecnicamente possibile va reso disponibile a quanti potrebbero averne bisogno o farne richiesta, si fanno però sempre più vive le ragioni di perplessità sulla fecondazione artificiale in generale, ma in particolar modo eterologa, anche in quanti ne avevano dapprima legittimato l’uso.
L’illiceità della fecondazione artificiale eterologa ha motivazioni intrinseche, dal momento che tale pratica è contraria all’unità del matrimonio, alla dignità dei coniugi e al diritto del figlio concepito a poter riconoscere all’origine della propria vita un padre e una madre uniti nel matrimonio, ma grande peso hanno, in campo biomedico, anche le conseguenze che possono derivare dal ricorso a queste tecniche.
Fecondazione artificiale eterologa: conseguenze di interesse medico
Sono, oramai, numerosi gli studi che mettono in evidenza i rischi collegati al ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale, rischi che sono in generale aggiuntivi a quelli propri di un concepimento naturale. Si pensi, ad esempio, al rischio materno legato al trattamento farmacologico utilizzato per ottenere un’ovulazione multipla, con l’insorgenza della cosiddetta “sindrome da iperstimolazione ovarica”, o al verificarsi di infezioni peritoneali a seguito di procedure laparoscopiche, finalizzate al reperimento delle cellule uovo. Ma anche la plurigemellarità, la cui incidenza è incrementata con l’uso delle tecniche di fecondazione artificiale, causa rischi sia materni sia fetali, conducendo nel contempo ad una pratica eticamente inaccettabile, la riduzione embrionale (si veda il nostro precedente documento “Contro la riduzione fetale”).
Inoltre, tra i nati ottenuti con le tecniche di fecondazione artificiale, in particolare con la fecondazione in vitro, aumenta l’incidenza di prematurità (24- 29,3% vs 4-6% delle gravidanze normali), di basso peso alla nascita (13%-26,2% vs 6% delle gravidanze naturali per pesi al di sotto dei 2500 grammi, con un rapporto pari a 7:1 per pesi sotto i 1500 grammi), di mortalità perinatale (22,8-26,6% vs 9,8-13% con gravidanze naturali) e di morbidità. Infatti, la prematurità e il basso peso si associano a loro volta ad un aumentato rischio di compromissione della crescita e dello sviluppo psicomotorio e mentale, con non infrequenti danni neurologici.
A questi problemi medici, comuni alle tecniche di fecondazione artificiale eterologa ed omologa, se ne aggiungono altri specifici della fecondazione artificiale eterologa, tra cui la richiesta di selezionare i donatori di gameti.
E’ noto come sia stato previsto da parte di chi gestisce le cosiddette “banche del seme” che i donatori vengano selezionati per escludere la possibilità di contagio di malattie infettive o di trasmissione di malattie genetiche.
Tale selezione, perseguita con fini eugenetici e, pertanto, intrinsecamente illecita, rappresenta però oltretutto un’illusione e un inganno. E’, certamente, possibile allo stato attuale individuare nel donatore la presenza di geni alterati responsabili dell’insorgenza di una malattia genetica nel nascituro; è altresì possibile individuare una vasta gamma di predisposizioni morbose che vanno dal diabete, all’arteriosclerosi ed altre malattie. Questi esami, che possono essere eseguiti sul donatore, andrebbero tuttavia eseguiti – per essere validi secondo la sottesa logica eugenistica – anche sulla donna ricevente: una prospettiva questa che comporterebbe una spesa molto elevata oltre ad essere, data la potenziale ampiezza di questi esami, irrealistica. Una volta effettuata la diagnosi di futura malattia o di predisposizione morbosa, si porrebbe poi il problema se utilizzare o meno quel determinato seme per fecondare una donna o più donne. Ma, a parte la natura di selezione eugenetica di tale decisione, a chi essa dovrà spettare: al direttore del centro? Alla ricevente? Al coniuge consenziente? Ad una commissione di esperti?
Fecondazione artificiale eterologa: conseguenze psico-sociali e ulteriori implicanze etiche
Tra le altre conseguenze del ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale eterologa bisogna ricordare la proposta dell’anonimato dei donatori di gameti e di embrioni.
Premesso che la cosiddetta “donazione di gameti” è una forma assai dubbia di generosità, ove si consideri la totale esenzione del genitore genetico da qualsiasi responsabilità che grava su tutti gli altri genitori, riteniamo che sia contrario al diritto del nascituro vedere preclusa ogni possibilità di conoscere il proprio genitore genetico. Ed è senz’altro un controsenso, in un’epoca in cui chiunque può conoscere – con l’esame del DNA – la propria origine genetica, condizionare tale possibilità alla decisione dell’autorità giudiziaria: si può certo proibire per legge il disconoscimento di paternità da parte del coniuge che ha acconsentito ad una fecondazione eterologa, ma non è ammissibile che si proibisca ad un figlio di conoscere il proprio padre genetico. Senza tener conto, poi, del fatto che all’anonimo donatore si concede ciò che non è ufficialmente concesso a nessuno: essere padre di molti figli nati da donne diverse e di rimanere “nascosto”, con il rischio che i figli – ignari – possano contrarre matrimoni incestuosi con i propri fratellastri.
Che l’attenzione agli interessi del nascituro sia minimo è dimostrato anche dal modo in cui viene continuamente violato il suo diritto fondamentale alla vita: è quanto si verifica già con l’atto stesso di ottenere un concepimento in modo sganciato dall’atto coniugale, ma che è reso ancor più evidente dalla prassi della fecondazione in vitro multipla e dall’ottenimento dei cosiddetti “embrioni soprannumerari”, che, non trasferiti nell’utero della madre, vengono utilizzati nella sperimentazione o crioconservati.
Tra i destini degli embrioni crioconservati, vi è anche la donazione ad un’altra coppia sterile, procedura alla quale si collega, poi, in modo inevitabile la selezione degli embrioni con la diagnosi pre-impiantatoria.
Considerazioni conclusive
Scoprirsi sterili e non potersi realizzare come padre o come madre è senza dubbio una grande sofferenza per la coppia: l’aspirazione alla maternità e alla paternità è “fisiologicamente” legata alla coniugalità. Per questo motivo si deve avere il massimo apprezzamento umano per il desiderio di una gravidanza: e, laddove la scienza medica individui una situazione di sterilità, deve essere massimo l’impegno nella diagnosi e nella cura. Qualora, però, questo tipo di interventi non consente alla coppia sterile di realizzare questa aspirazione alla paternità/maternità, è doveroso orientare tale desiderio verso una “fecondità sociale” piuttosto che permettere pratiche contrarie sia alla dignità personale del nascituro e dei coniugi sia alla natura stessa del matrimonio e della famiglia.
Documento n. 4/1998
Centro di Bioetica
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