La Chiesa e la fecondazione artificiale
Fede e scienza. Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita illustra la posizione della Chiesa sulla procreazione assistita. Dalle implicazioni etiche a quelle giuridiche, un contributo cruciale al dibattito che divide le coscienze
di Mons. Elio Sgreccia
Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
La gravità e molteplicità delle implicazioni etiche della fecondazione artificiale nell’uomo La trattazione del presente argomento solitamente è affrontata in maniera scientifica e con l’interesse rivolto completamente al “successo” e alla “percentuale di successo”, lasciando in ombra molte cose: gli insuccessi, la morte provocata agli embrioni, le complicanze sulla donna (ad es., la sindrome da iperstimolazione ovarica), l’effetto selettivo degli embrioni, il mercato che si instaura sul corpo umano (gameti, uteri… ed altro). Ma soprattutto nella presentazione del fatto biotecnologico con tutte le sue varianti tecniche (più di venti se ne descrivono) si tralascia di mettere in luce il significato antropologico che vi è incluso, ed è quello che conta di più non soltanto per la Chiesa. La fecondazione artificiale nell’uomo umanizza o disumanizza la generazione umana? Questo interrogativo non viene posto in luce sufficientemente.
Analogamente bisogna constatare che sul piano giuridico e culturale il tutto viene incentrato sul desiderio, (che presume anche di diventare diritto) della donna o della coppia in ordine ad avere un figlio, mentre rimane in posizione secondaria il figlio generato e quelli sacrificati. Ma il figlio è lo scopo della generazione e il figlio non va considerato come “rimedio” o “mezzo” in ordine ai desideri degli adulti. È perciò importante porsi, come vogliamo fare in questa presentazione, nell’ottica antropologica; l’antropologia che si riferisce al figlio e quella che si riferisce alla famiglia e soprattutto alla natura stessa del generare umano.
Le ripercussioni sull’essere umano concepito dalle tecniche di fecondazione artificiale.
Sappiamo che qui entriamo in un punto che divide il mondo, non certo dal punto di vista religioso, ma sul piano bioetico: c’è chi sostiene il carattere pienamente umano dell’embrione a partire dall’inizio del processo della fecondazione (penetrazione dello spermatozoo nella membrana dell’ovulo) e c’è chi pone delle date che posticipano la prima considerazione umana, pienamente umana, dell’embrione a 15 giorni dopo la fecondazione, oppure prima dell’impianto, prima della formazione del tessuto cerebrale ed altri più tardi ancora, secondo la teoria cosiddetta “gradualista” considerando l’umanità del nascituro come progressiva a seconda delle tappe di sviluppo. Contro questa teoria persiste la posizione di chi, appellandosi ai dati della genetica e della biologia, nonché a quelli della ragione, al di là di ogni posizione religiosa, ritiene che l’essere umano si costituisce nella sua individualità come un tutto che possiede in sé gli elementi e il programma del suo sviluppo futuro fin dall’inizio del processo della fecondazione, in cui si uniscono i due gameti paterno e materno.
La posizione della Chiesa Cattolica coincide con questa seconda linea di pensiero, aggiungendo anche una affermazione di un principio eticamente importante che consiste nel c.d. principio del “tuziorismo” per cui anche qualora ci fossero dei dubbi sulla esistenza del carattere pienamente umano dell’embrione, di fronte al dubbio e di fronte anche alla seria possibilità che si tratti di un essere umano individuale che ha la dignità di figlio e di persona, ci si deve astenere da ogni atto che possa danneggiarlo o sopprimerlo. Allo stesso modo come si fa divieto al cacciatore di sparare quando avesse il dubbio che non si tratti di un cinghiale o di un capriolo, ma di un collega o comunque di un individuo umano.
Ma desidero aggiungere che lo stesso rapporto Warnock, che è quello in cui è stata formulata la “teoria gradualista“, confessa chiaramente che la proposta del “pre-embrione”, l’embrione cioè che non supera i 15 giorni di età, è stato frutto non di una considerazione biologica, ma di una ricerca di un “punto d’incontro” con quanti chiedevano di poter condurre la sperimentazione sugli embrioni non impiantati o di poterli esaminare/selezionare con la diagnosi pre-impiantatoria prima di impiantarli in utero.
A supporto della teoria gradualista sono state portate le seguenti ragioni:
a) la vita embrionale vera e propria inizierebbe con l’impianto in utero;
b) soltanto dopo il 15° giorno non si avrebbe più la possibilità della gemmazione (che secondo questa teoria contrasterebbe con la individualità dell’embrione);
c) la comparsa della stria primitiva del sistema nervoso.
Di fronte ad una discussione seria su questi punti nessuna di queste ragioni presenta un valore costitutivo della realtà embrionale, ma rappresenta soltanto o una condizione di sviluppo, come l’alimentazione nell’impianto, o il momento in cui da un embrione che prosegue il suo sviluppo e continua a essere se stesso (Pietro) può staccarsi e generarsi per gemmazione un secondo embrione (Giovanni), dando luogo così a due embrioni, ognuno con la sua individualità; nel caso della comparsa della stria primitiva si tratta della comparsa del tessuto originante il SNC (sistema nervoso centrale, ndr ), nell’ambito della differenziazione delle cellule e della formazione dei tessuti, proprio a seguito di un preciso piano di sviluppo coordinato da un progetto interno dell’autopoiesi dell’embrione. Non è il cervello che costituisce l’identità dell’embrione, ma è l’embrione che costruisce il suo sistema nervoso centrale.
In realtà sappiamo che non c’è una fusione dei pronuclei, ma fin dalla penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo i due pronuclei si dispongono in una relazione reciproca che ha un suo significato di novità per il “nuovo” essere umano. Come si vede, è stata proposta l’atomizzazione di un processo che, invece, è unitario nella “logica biologica” e non consente distacchi o salti di qualità. Ciò è avvenuto dietro la previsione, definita “necessità”, di poter sperimentare sugli embrioni, congelarli e utilizzarli come materiale biologico. Bisognerebbe registrare che un particolare stimolo in questa direzione è venuto dalla discussione sulle cellule staminali embrionali, che si possono appunto prelevare allo stadio di blastocisti e perciò implicano la distruzione dell’embrione; il motivo giustificativo adottato è sempre il solito: a questo stadio si tratterebbe ancora di “pre-embrione“. Lo sforzo, come si vede, per mettere in atto la “riduzione” antropologica ed etica dell’embrione umano rappresenta uno dei punti caldi e acuti del dibattito culturale ed etico e costituisce una autentica frontiera per la difesa della dignità e dell’ontologia dell’uomo.
Pertanto risulta anche razionalmente e scientificamente fondata la posizione della Chiesa Cattolica su questo preciso punto: “…dal momento in cui l’ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre e della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre… la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l’avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire”. Anche se la presenza di un’anima spirituale non può essere rilevata dall’osservazione di nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull’embrione umano a fornire “un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?”.
Del resto, tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell’obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte ad una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l’embrione umano. Proprio per questo, al di là dei dibattiti scientifici e delle stesse affermazioni filosofiche nella quali il Magistero non si è espressamente impegnato, la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale: ” L’essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita”.
La conclusione relativa alla natura e identità dell’embrione umano è di capitale importanza per valutare le tecniche di procreazione artificiale dal punto di vista etico, perché molte tecniche di fecondazione artificiale umana comportano, come è noto, la distruzione, la perdita, la selezione e il congelamento degli embrioni. Di più, tutte le tecniche di fecondazione artificiale offendono la dignità propria dell’embrione umano, perché l’embrione umano è un figlio, e fin dal primo momento della fecondazione merita il rispetto che si deve alla persona umana; al contrario, il concepimento tecnologico tratta l’embrione come un “prodotto”, come se fosse un oggetto che si costruisce artificialmente. Per documentare la perdita degli embrioni, ad es. nelle tecniche di FIVET (la pratica più conosciuta di fecondazione assistita, ndr ), è stato statisticamente comprovato con ripetute indagini a distanza che su 100 embrioni fecondati in laboratorio con tecniche FIVET soltanto 6-7 giungono bambini in braccio alla madre. Va notato che i dati in letteratura sono forniti con riferimenti diversi: ora si fa riferimento agli embrioni trasferiti, ora a quelli impiantati, ora (più raramente) a quelli sopravvissuti.
Per quanto riguarda l’eugenismo e la selezione che vengono implicati dalla fecondazione artificiale umana, basti pensare alla possibilità di selezionare gli embrioni nella fase di fecondazione in vitro con la diagnosi preimpiantatoria o anche semplicemente osservazionale, oppure alla pratica della “riduzione embrionale” in casi di indesiderate gravidanze plurigemellari. Ma la selezione eugenetica comincia già nella scelta dei donatori dei gameti che vengono reclamizzati nei Centri di fecondazione artificiale. Se alle coppie che chiedono di accedere alla fecondazione artificiale si spiegassero tutte queste perdite e manipolazioni degli embrioni, si può presumere che molte rinuncerebbero a diventare complici di una serie di fatti negativi dal punto di vista semplicemente umano.
Fecondazione artificiale, matrimonio e famiglie.
Un secondo livello di problematiche etiche riguarda le ripercussioni della fecondazione artificiale sul matrimonio e la famiglia. Anche in questo campo il giudizio critico e negativo che la Chiesa Cattolica propone non si basa soltanto sul dato di fede che riconosce la famiglia umana fondata sul matrimonio-sacramento, ma considera anche il fatto che il matrimonio, fondamento della famiglia, è una istituzione naturale che consiste nell’unione stabile di un uomo e di una donna, aperta alla procreazione. Pressoché tutte le Costituzioni democratiche riconoscono il binomio matrimonio-famiglia come cellula della società ed elemento indispensabile del suo equilibrio sul piano della educazione dei figli ed anche sul piano economico e giuridico. Ora l’impatto della fecondazione artificiale sui concetti base del matrimonio e della famiglia sono molteplici e sono di segno negativo. Il fatto più palese è quello che si verifica nelle situazioni e legislazioni in cui è permessa la fecondazione eterologa, oppure anche la maternità surrogata. Si sa che in questi casi si può arrivare a instaurare situazioni con 2 padri ed anche 2-3 madri. Tutto ciò che va sotto il nome di frantumazione della maternità (genetica, gestazionale e sociale) e paternità (genetica e sociale), si ripercuote sul piano della relazione con i figli e tra i coniugi, ma crea anche situazioni di conflittualità giuridica. Se si considera come prioritario il bene del figlio – come sarebbe ovvio – in queste situazioni il figlio viene privato di un suo diritto naturale, quello di essere messo al mondo ed educato dalla duplice figura di un padre e di una madre.
La disposizione giuridica vigente in alcune leggi relative alla fecondazione artificiale umana di mantenere l’anonimato sul padre genetico donatore di sperma o della madre donatrice di ovuli (o “surrogata”) per la gestazione rappresenta la violazione di un altro diritto naturale, quello di poter conoscere i propri genitori e le proprie origini. Gli autori che hanno studiato le famiglie che accedono alla procreazione artificiale, oltre a rilevare come esse spesso pongano la ricerca del figlio come oggetto di un loro equilibrio personale, quasi un “bene di consumo”, fanno notare anche come nella fecondazione eterologa si rompa la unità fra coniugalità e parentalità e divenga incontrollabile la ereditarietà nelle generazioni future, il che anche sul piano sanitario e genetico porta delle conseguenze. Assicurare che attraverso la fecondazione eterologa sia possibile evitare la trasmissione di una malattia genetica diventa praticamente impossibile e le cause per il risarcimento del danno a carico dei Centri di fecondazione artificiali potrebbero moltiplicarsi. Questa posizione propria della fecondazione eterologa è formalmente respinta come negativa dal Magistero della Chiesa Cattolica nel Documento che è dedicato al tema specifico della fecondazione artificiale umana. Queste sono le parole del Magistero: “La fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale”. Ma i concetti di paternità e maternità sono alterati non soltanto nel caso della fecondazione artificiale eterologa, ma anche nel caso della omologa perché, mancando l’aspetto di partecipazione personale nel momento della generazione, sono chiaramente depauperate e prive della ricchezza umana e partecipativa, come meglio si potrà comprendere dalle considerazioni che seguono.
La procreazione artificiale e il “generare”.
Questo aspetto che la Chiesa Cattolica considera come prioritario, riguarda tutte le forme di procreazione artificiale laddove, cioè l’atto coniugale personale viene sostituito dalla tecnologia.
Nessuna fra le leggi che via via sono pubblicate nel mondo, che si sappia, prende in considerazione come discriminante questo fattore personale come proprio del “generare” che è atto interpersonale e proprio dei genitori-coniugi. Ma ciò è quanto di più umano, intimo e spiritualmente e psicologicamente arricchente nella esperienza dei coniugi genitori. Certo la legge civile non coincide in tutto con la legge morale e il legislatore si limita a finalizzare il suo intervento alle azioni e relazioni esterne delle persone, quelle che possono contribuire al bene comune, non potendo coprire tutta la interiorità e intimità della vita personale.
Tuttavia è un legame naturale e profondo quello che unisce “la dimensione unitiva” e “la dimensione procreativa” dell’atto coniugale: è lo stesso atto di unione sponsale (fisica, affettiva e spirituale) che contiene in sé la capacità (se non ci sono ostacoli) di procreare; e questa duplice dimensione ha per di più la forza della reciprocità, sicché lo sposo diventa padre attraverso l’unione con la sposa e la sposa diventa madre attraverso l’unione con lo sposo come recentemente ha ricordato alla nostra Pontificia Accademia per la Vita Giovanni Paolo II: “Sempre di più emerge l’imprescindibile legame della procreazione di una nuova creatura con l’unione sponsale, per la quale lo sposo diventa padre attraverso l’unione coniugale con la sposa e la sposa diventa madre attraverso l’unione coniugale con lo sposo. Questo disegno del Creatore è inscritto nella natura stessa fisica e spirituale dell’uomo e della donna e, come tale, ha valore universale… Un gesto così ricco, che trascende la stessa vita dei genitori, non può essere sostituito da un mero intervento tecnologico, impoverito di valore umano e sottoposto ai determinismi dell’attività tecnica e strumentale”. Questo impoverimento dell’atto procreativo costituisce ovviamente un’offesa alla dignità del figlio che viene procreato. Infatti un atto di procreazione senza l’espressione corporea risulta privo non tanto dell’elemento biologico (che si recupera tecnologicamente con il trasferimento dei gameti), quanto della comunione interpersonale che si può esprimere in modo completo attraverso il corpo nella sua pienezza e unità. La caratteristica dell’amore coniugale è la sua totalità e la pienezza del dono delle due persone. La sostituzione del gesto corporeo con la tecnica determina una riduzione dell’atto coniugale, un suo declassamento alla tipologia di “atto tecnico”.
La Chiesa Cattolica rimane, ovviamente, in favore degli interventi veramente terapeutici che possono riportare l’organismo dell’uomo e della donna a recuperare la fertilità-fecondità: oggi si registrano notevoli successi ad es. in tema di microchirurgia tubarica, ma anche nell’ambito medico-farmacologico. Soprattutto va promossa la ricerca e va studiato tutto ciò che nei comportamenti è necessario modificare per studiare le cause e prevenire l’incidenza della infertilità. È sempre lecito anche far ricorso a quelle tecniche che prima o dopo l’atto coniugale o nel suo svolgimento possono aiutare (senza sostituire) l’atto coniugale perché raggiunga il suo naturale effetto fecondante. Infine alle coppie sterili (sempre ne rimane una percentuale anche dopo l’impiego della fecondazione artificiale) la Chiesa Cattolica indica e raccomanda la adozione che dà una famiglia a figli che l’hanno perduta o non l’hanno mai avuta. La adozione, come anche l’impegno sociale per i bisognosi, può trasformare la sterilità fisica in fecondità spirituale e sociale.
L’AUTORE
I temi scottanti della nostra società, inerenti al rapporto tra fede e scienza, (dalla fecondazione artificiale, all’aborto, all’eutanasia) sono da sempre al centro del lavoro di monsignor Elio Sgreccia, 76 anni, marchigiano, che nel 1986 scrisse un Manuale di bioetica in due volumi (Vita e pensiero, la seconda edizione è del 1991) considerato un testo fondamentale sull’argomento. Tra i promotori dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica Sacro Cuore presso il Policlinico Gemelli di Roma, Sgreccia è stato segretario del Consiglio Pontificio della Famiglia, prima di diventare vice-presidente e ora presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Questi organismi sono stati creati da Giovanni Paolo II nell’81 e nel ’94 proprio per dare maggior impulso alla posizione della Chiesa su tematiche etiche, sociali e giuridiche in una società in forte trasformazione. L’Accademia Pontificia ha 51 membri ordinari con competenza in differenti settori delle scienze biomediche.
Corriere della Sera – 8 febbraio 2005