Bernardo Cervellera – Asia News 29/1/05
Le immagini degli irakeni all’estero che votano pieni di entusiasmo, ballando e cantando, sono qualcosa di imprevisto: da oltre un anno per noi l’Iraq è soltanto guerriglia, sgozzamenti, distruzioni, pretesa guerra civile, occupazione. Il messaggio monocorde dei media che presenta un’Iraq alla deriva ha fatto concludere a molti che le elezioni in Iraq sono un’inutile farsa. Ad ascoltare invece espatriati o ex rifugiati irakeni a Sidney, Dubai, Iran, Siria, Gran Bretagna, si resta stupiti: per loro – come hanno detto ad AsiaNews – le elezioni sono una grande occasione, un “piccolo passo” verso il grande progetto di un’Iraq libero.
I media mettono in luce gli inconvenienti: una campagna elettorale squilibrata, fatta di nascosto; coprifuoco nelle città; aeroporti e frontiere sigillate….Eppure almeno l’80% degli irakeni vuole le elezioni. Anche i sunniti non sono contrari, ma avrebbero voluto solo un ritardo nel voto per organizzarsi meglio. Con molto realismo, il governo ad interim ha detto che non c’è la certezza che il ritardo avrebbe portato più sicurezza di adesso. C’è invece l’entusiasmo per questa prova di democrazia mai gustata da più di 50 anni. “Per anni, ha detto Salamah al-Khafaji, una sciita candidata a Baghdad, siamo stati privati del gusto della democrazia. È importante non perdere questa occasione”. La signora è una candidata caparbia: siccome era difficile fare comizi, ha usato le e-mail; ha girato fra le famiglie sunnite per convincerle a votare; ha allontanato i figli dalla capitale per timore dei cecchini. Anche molti vescovi irakeni e lo stesso patriarca caldeo hanno detto che votare è un dovere.
Alla tenacia degli irakeni fa da contaltare la tiepidezza dell’occidente europeo. Una volta ogni segno di democrazia, sarebbe stato applaudito come un passo verso il progresso. Ora si storce la bocca alla presenza dell’occupante americano. Eppure, anche le elezioni in Palestina, all’inizio di gennaio, avvenivano con una popolazione a metà sotto l’occupazione israeliana. Ma tutti hanno esaltato l’esempio di democrazia e libertà di fronte ad Israele. Alle elezioni che hanno visto la vittoria di Abu Mazen non ha potuto partecipare tutto il popolo palestinese. Anche in Iraq, con molta probabilità, non parteciperanno tutti gli irakeni. In 4 delle 18 province irakene la votazione sarà difficile. A Mossul la violenza delle bande e dei fondamentalisti ha già distrutto le schede e i seggi. Voteranno senz’altro gli sciiti (il 60% della popolazione) e i curdi al nord (15-20%). Anche molti sunniti andranno a votare, magari in zone lontane dalla loro abitazione. AsiaNews ha saputo che perfino dei sunniti baathisti, in Italia per cure, sono tornati in fretta a Baghdad per votare anche loro.
L’importanza di queste elezioni tanto bistrattate comincia a percepirsi in Siria, dove il Baath gode del pieno potere. La popolazione siriana comincia a chiedersi come mai anche loro non possono avere libere elezioni e candidati indipendenti. Ma ancora più importante è l’influenza di queste elezioni sul mondo islamico. Nei giorni scorsi tutti i personaggi religiosi sciiti irakeni – pur pensando a una loro vittoria – hanno escluso la nascita di uno stato fondamentalista. Mentre Zarqawi minaccia di “inondare le strade di Baghdad con il sangue dei votanti” e distruggere i seggi perché “centri di ateismo e di vizio”, vi sono dottori islamici che studiano la compatibilità fra Islam e democrazia.
Dia al-Shakarchi un teologo islamico di Baghdad ha detto in questi giorni che alla democrazia non vi sono alternative credibili: vi sono soltanto le dittature teocratiche di stile iraniano e le dittature personali di cui è pieno il Medio Oriente.
Ormai in tutto il mondo islamico, dall’Indonesia, alla Malaysia, al Pakistan si parla di modernità, di democrazia, di lotta al terrorismo. Fino a pochi anni fa era molto difficile perfino accennarne. In Iraq si sta dunque esprimendo quell’Islam moderato che l’occidente ha sempre cercato come interlocutore. E ora sta rischiando di condannare alla brutalità del terrorismo.