PAROLE CHIARE IN TEMPI OSCURI
Intervento del Card. Ruini
Conferenza Episcopale Italiana
56a ASSEMBLEA GENERALE
Roma, 15-19 maggio 2006
«In questo contesto storico e sociale si colloca il nostro impegno a favore della vita umana, dal primo istante del suo concepimento fino al suo termine naturale, e della famiglia legittima fondata sul matrimonio… Cari Confratelli, sappiamo bene che questo nostro impegno è spesso mal tollerato e visto come indebita intromissione nella libera coscienza delle persone e nelle autonome leggi dello Stato. Ma non per questo possiamo tacere, o sfumare le nostre posizioni…»
Venerati e cari Confratelli,
siamo lieti di ritrovarci ancora una volta insieme per la nostra consueta Assemblea di maggio, potendo così sperimentare e rafforzare i vincoli della nostra comunione e condividere la sollecitudine pastorale per le nostre Chiese, per il patrimonio di fede e di cultura cristiana del popolo italiano e per il cammino della nostra amata nazione. Invochiamo su di noi e sui lavori che ci attendono la luce e la grazia dello Spirito Santo, che sempre guida e fortifica i passi della Chiesa. Nel medesimo Spirito esprimiamo al Dio ricco di misericordia tutta la gratitudine del nostro cuore per l’opera di salvezza che compie sempre di nuovo, ricavando il bene anche dalle nostre debolezze e dai nostri peccati.
1. Il nostro pensiero devoto e affettuoso va anzitutto al Santo Padre, che avremo la gioia di incontrare e ascoltare giovedì e che ha da poco portato a termine il primo anno del suo Pontificato. In questo tempo ancora breve egli ha già potuto ampiamente manifestarsi come quel “Pastore mite e fermo” che ha chiesto al Signore di essere nell’Udienza generale di mercoledì 19 aprile. Con la chiarezza e la profondità della sua parola, la gentilezza d’animo e l’attenzione alle persone, il modo raccolto di presiedere le celebrazioni, lo stesso costante richiamo al suo amato Predecessore, Papa Benedetto è già entrato nel cuore delle persone e delle moltitudini, compresi in gran numero coloro che non condividono o non praticano la nostra fede. Ha indicato con mano sapiente il cammino della Chiesa, incoraggiandoci a gustare la gioia di essere cristiani. Ha offerto alla grande famiglia umana motivi di unità e di fiducia, resi solidi dal richiamo a ciò che è davvero essenziale.
Del Magistero di Benedetto XVI ricordiamo in primo luogo l’Enciclica sull’amore cristiano, che in realtà è una vivida sintesi dei contenuti centrali della fede, formulata in aperto dialogo con alcune domande fortemente presenti nell’animo umano e nella cultura del nostro tempo, e quindi capace di toccarci nel profondo e di stimolarci a “vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo” (Deus caritas est, 39). Ma tutto l’insegnamento del Santo Padre, dalle omelie ai discorsi alle catechesi, converge a formare un grande affresco unitario nel quale la forza e la coerenza del pensiero si sposa con la passione per Gesù Cristo presente nella sua Chiesa e con l’impegno a rendere ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Così, ad esempio, nelle grandi catechesi incentrate sul Mistero eucaristico rivolte ai giovani riuniti a Colonia per la Giornata Mondiale della Gioventù, o anche, in queste ultime settimane, in quelle dedicate al significato autentico della Tradizione ecclesiale. E parimenti nella linea di interpretazione del Concilio Vaticano II proposta nel discorso del 22 dicembre alla Curia Romana e nelle indicazioni che il Papa ne ha ricavato per i compiti attuali della Chiesa, in rapporto alle grandi questioni del nostro tempo, con la necessità di “allargare gli spazi della razionalità”, al di là dei limiti di una ragione soltanto scientifica e funzionale, di non separare la nostra libertà dalla verità iscritta nella nostra natura, di costruire su queste basi la giustizia e la pace tra gli uomini e tra i popoli.
L’affetto per il nuovo Papa, la comunione profonda con lui e la condivisione gioiosa del suo Magistero fanno tutt’uno con il sentimento di straordinaria gratitudine che ci lega al suo grande Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, della cui morte abbiamo celebrato il primo anniversario lo scorso 2 aprile, con il Rosario recitato da una folla commossa in Piazza San Pietro, e il giorno dopo con la S. Messa presieduta da Benedetto XVI. Quella di Giovanni Paolo II è infatti anche oggi una presenza assolutamente viva e vivificante, un patrimonio di grazia per la Chiesa e per l’umanità, e in maniera speciale per il nuovo Papa. Lo sguardo della fede discerne negli eventi che si sono susseguiti prima e dopo il passaggio di Pontificato la mano provvidente del Signore che ama, protegge e guida la sua Chiesa, ma anche la spontanea percezione popolare ha colto in tutto ciò un segno di benedizione. Siamo lieti di aver potuto raccogliere in un volume, che viene offerto oggi a ciascuno di noi, i discorsi e messaggi rivolti da Giovanni Paolo II ai Vescovi italiani a partire dal 1992, completando così quanto già pubblicato in volumi precedenti.
Nel Concistoro del 24 marzo il Santo Padre ha creato quindici nuovi Cardinali, tra i quali il nostro Confratello Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, con il quale ci felicitiamo, come anche con i Cardinali Agostino Vallini, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e in precedenza a lungo membro della nostra Conferenza, e Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete della Basilica di San Paolo e già Nunzio Apostolico in Italia.
2. Rivolgiamo un pensiero grato e cordiale al Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, che mercoledì prossimo presiederà la nostra Concelebrazione nella Basilica di San Pietro.
Salutiamo con affetto il Nunzio Apostolico in Italia, Mons. Paolo Romeo, che ci onorerà come sempre della sua presenza.
3. Un fraterno saluto e un grazie sincero per avere accolto il nostro invito va ai Vescovi che sono qui in rappresentanza di altre Conferenze Episcopali d’Europa.
Essi sono:
– Mons. Maximilian Aichern, Vescovo emerito di Linz, Austria;
– Mons. Florentin Crihălmeanu, Vescovo di Cluj-Gherla, Romania;
– Mons. Jorge Ferreira da Costa Ortiga, Arcivescovo di Braga, Portogallo;
– Mons. Pier Giacomo Grampa, Vescovo di Lugano, Svizzera;
– Mons. Ladislav Hučko, Esarca Apostolico per i cattolici di rito bizantino, Repubblica Ceca;
– Mons. Szilárd Keresztes, Esarca di Hajdúdorog per i cattolici di rito bizantino di tutta l’Ungheria;
– Mons. Giovanni Martinelli, Vicario Apostolico di Tripoli, Libia;
– Mons. Angelo Massafra, Vescovo di Scutari-Pult, Albania;
– Mons. Ivan Milovan, Vescovo di Poreč e Pula, Croazia;
– Mons. Tadeusz Pieronek, Vescovo titolare di Cufruta, Polonia;
– Mons. Metod Pirih, Vescovo di Koper, Slovenia;
– Mons. José Vilaplana Blasco, Vescovo di Santander, Spagna;
– Mons. Stanislav Zvolenský, Vescovo Ausiliare di Bratislava-Trnava, Slovacchia.
Un saluto molto cordiale anche a Mons. Aldo Giordano, Segretario del Consiglio delle Conferenze dei Vescovi d’Europa.
4. Ricordiamo con affetto e gratitudine i fratelli Vescovi deceduti in questo ultimo anno: Dio ricco di misericordia li accolga nella sua eterna pienezza di vita ed essi intercedano per noi e per il popolo che fu affidato alla loro cura pastorale.
Questi sono i loro nomi:
– Mons. Ettore Cunial, Arcivescovo già Vicegerente di Roma;
– Mons. Vincenzo D’Addario, Arcivescovo-Vescovo di Teramo-Atri;
– Mons. Salvatore Di Salvo, Vescovo emerito di Nicosia;
– Mons. Decio Lucio Grandoni, Vescovo emerito di Orvieto-Todi;
– Mons. Pasquale Macchi, Arcivescovo-Prelato emerito di Loreto, la cui memoria rimane per sempre legata a quella del Servo di Dio Paolo VI;
– Mons. Guglielmo Motolese, Arcivescovo emerito di Taranto, già Vicepresidente della nostra Conferenza;
– Mons. Andrea Pangrazio, Arcivescovo-Vescovo emerito di Porto-Santa Rufina, già Segretario Generale della nostra Conferenza;
– Mons. Francesco Tommasiello, Vescovo di Teano-Calvi.
Rivolgiamo uno speciale pensiero ai Confratelli che hanno lasciato nel corso dell’anno la guida delle loro Diocesi.
Essi sono:
– Mons. Giacomo Capuzzi, Vescovo emerito di Lodi;
– Mons. Francesco Cuccarese, Arcivescovo emerito di Pescara-Penne;
– Mons. Andrea Maria Erba, Vescovo emerito di Velletri-Segni;
– Mons. Sergio Goretti, Vescovo emerito di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino;
– Mons. Silvio Padoin, Vescovo emerito di Pozzuoli;
– Mons. Natalino Pescarolo, Vescovo emerito di Cuneo e di Fossano;
– Mons. Antonio Santucci, Vescovo emerito di Trivento;
– Mons. Michele Scandiffio, Arcivescovo emerito di Acerenza;
– Mons. Oscar Serfilippi, Vescovo emerito di Jesi;
– Mons. Serafino Sprovieri, Arcivescovo emerito di Benevento;
– Mons. Pier Giuliano Tiddia, Arcivescovo emerito di Oristano;
– Mons. Vincenzo Zarri, Vescovo emerito di Forlì-Bertinoro.
Ricordiamo con affetto anche tutti gli altri Vescovi emeriti e salutiamo con particolare gratitudine coloro che hanno voluto essere presenti a questa Assemblea.
Accogliamo con gioia i Vescovi che sono entrati quest’anno a far parte della nostra Conferenza e chiediamo al Signore di benedire e rendere fecondo di grazia il loro ministero: le loro fresche energie daranno nuovo impulso al nostro comune servizio.
Li salutiamo uno ad uno:
– Mons. Arturo Aiello, Vescovo eletto di Teano-Calvi;
– Mons. Giuseppe Cavallotto, Vescovo di Cuneo e di Fossano;
– Mons. Gianfranco De Luca, Vescovo eletto di Termoli-Larino;
– Mons. Lorenzo Ghizzoni, Vescovo Ausiliare di Reggio Emilia-Guastalla;
– Mons. Santo Marcianò, Arcivescovo eletto di Rossano-Cariati;
– Mons. Lino Pizzi, Vescovo di Forlì-Bertinoro;
– Mons. Giovanni Ricchiuti, Arcivescovo di Acerenza;
– Mons. Gerardo Rocconi, Vescovo di Jesi;
– Mons. Ignazio Sanna, Arcivescovo eletto di Oristano;
– Mons. Domenico Angelo Scotti, Vescovo di Trivento;
– Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo-Vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino;
– Mons. Benedetto Tuzia, Vescovo Ausiliare di Roma.
4. Cari Confratelli, dopo la mia conferma – fino a che non sia disposto altrimenti – a Presidente della nostra Conferenza, conferma per la quale rinnovo al Santo Padre i sensi della mia filiale gratitudine e confido nella vostra bontà, pazienza e indulgenza, il medesimo Santo Padre ha confermato, lo scorso 6 aprile, Mons. Giuseppe Betori come nostro Segretario Generale per il prossimo quinquennio, accogliendo la proposta della Presidenza della C.E.I., pienamente condivisa dal Consiglio Episcopale Permanente. Per questa conferma sento il bisogno di esprimere al Papa il più vivo ringraziamento, nella certezza di interpretare il sentire comune di tutti voi. Il ringraziamento si estende di cuore allo stesso Mons. Betori, per la dedizione tanto intelligente, premurosa e infaticabile con cui promuove le molteplici attività della C.E.I., ha cura dei vincoli di fraternità e comunione che ci uniscono, affronta i problemi assai diversificati che quotidianamente si presentano: verso di lui abbiamo tutti, ma io a titolo speciale, un grande debito di gratitudine.
Tra i testi pubblicati nell’ultimo anno dalla nostra Conferenza si segnala anzitutto la Traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale di Verona, “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. Il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Presidente del Comitato preparatorio, ci illustrerà il cammino che le nostre Chiese stanno compiendo in vista del Convegno e il programma del suo svolgimento. Ci rallegriamo per la ricchezza e fecondità delle iniziative che hanno avuto luogo nei mesi scorsi e che prossimamente si completeranno in diverse città d’Italia, disegnando un percorso di avvicinamento che consenta non solo di approfondire le problematiche dei vari ambiti di vita in cui si sviluppa la testimonianza cristiana, ma anche di mobilitare le energie delle nostre Chiese, con speciale attenzione al laicato, e di interloquire con la nostra gente. Dal Convegno, che sarà allietato e arricchito di significato dalla presenza del Santo Padre, attendiamo infatti un’ulteriore maturazione e un rafforzamento di quell’impegno missionario a tutto campo a cui la Chiesa è chiamata oggi in Italia. Il cammino che porta al Convegno sia dunque sostenuto dalla nostra preghiera unanime e perseverante.
Vanno ricordate inoltre le Indicazioni della Presidenza della C.E.I. circa i matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia e l’Istruzione in materia amministrativa, con la quale è stata rivista e aggiornata quella precedente del 1992. Sulla base del lavoro compiuto nell’Assemblea di novembre ad Assisi, sarà presto pubblicata la Nota “Predicate il Vangelo e curate i malati”, che offre criteri di discernimento e indicazioni pastorali in rapporto ai cambiamenti in atto nel mondo della sanità.
Tra le numerose iniziative promosse dalla nostra Conferenza, facciamo memoria almeno del Convegno sul catecumenato in Italia, svoltosi all’inizio di febbraio a Roma, dell’Incontro ecumenico di fine gennaio, avvenuto anch’esso a Roma quale prima tappa del cammino di preparazione della III Assemblea Ecumenica Europea che si terrà a Sibiu, in Romania, nel settembre 2007, nonché del VII Forum del Progetto culturale, tenutosi il 2 e 3 dicembre sul tema “Cattolicesimo italiano e futuro del Paese”.
Mons. Giuseppe Anfossi ci informerà sul lavoro già iniziato in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2008 a Sydney e in particolare su alcune proposte riguardanti la pastorale giovanile in Italia.
6. Cari Confratelli, dopo che nell’Assemblea del novembre scorso ad Assisi abbiamo riflettuto sulla formazione al ministero presbiterale e pertanto sui seminari, ci apprestiamo ora ad allargare la nostra attenzione alle condizioni concrete della vita e del ministero dei sacerdoti, in quella prospettiva missionaria che costituisce l’orientamento di fondo della nostra pastorale. Prima di ogni considerazione specifica, vorrei sottolineare l’atteggiamento di solidarietà, affetto, ascolto e gratitudine con il quale, come Vescovi, siamo e dobbiamo essere vicini ai nostri sacerdoti, la cui dedizione personale e quotidiana fatica ha per la vita e la missione della Chiesa un rilievo decisivo.
Mons. Luciano Monari presenterà ampiamente le problematiche che poi affronteremo nei gruppi di studio, mentre Mons. Italo Castellani illustrerà la “Ratio studiorum” che deve integrare gli “Orientamenti e norme” per i seminari già da noi approvati, in vista della recognitio della Santa Sede. Per parte mia vorrei concentrare l’attenzione sul fondamento cristologico del sacerdozio ministeriale sia di noi Vescovi che dei presbiteri, pur nella diversità di grado: soltanto la consapevolezza di questo legame costitutivo con Gesù Cristo e con la missione che egli ha ricevuto, nello Spirito Santo, da Dio Padre conferisce infatti significato, solidità e slancio alla nostra esistenza di sacerdoti, soltanto essa ci consente di assaporare davvero la gioia di essere sacerdoti.
Come Benedetto XVI ha scritto nella Deus caritas est (n. 22), “La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito”. Egli, in maniera totale ed esclusiva, è l’inviato del Padre, tanto che non ha nulla di proprio, se non ciò che ha ricevuto dal Padre, da se stesso non può far nulla, se non ciò che vede fare dal Padre, non dice nulla se non ciò che ha udito dal Padre (cfr Gv 5,19.30; 7,16; 8,26).
Ai Dodici, che egli stesso ha scelto e ha costituito perché stessero con lui e andassero nel suo nome (cfr Mc 3,13-15), Gesù affida questa missione che ha ricevuto dal Padre, dicendo loro già durante la sua vita terrena: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40), e finalmente comunicando loro il suo Spirito dopo la risurrezione, con le impegnative parole “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,19-23) e con l’assicurazione che egli rimane sempre con loro (cfr Mt 28,18-20).
Gli Atti degli Apostoli e le Lettere del Nuovo Testamento ci mostrano in atto questo ministero della nuova Alleanza (cfr 2Cor 3,6), che è ministero della Parola (cfr Lc 1,2) e inseparabilmente amministrazione dei misteri di Dio (cfr 1Cor 4,1), ministero della riconciliazione con Dio in Gesù Cristo (cfr 2Cor 5,18-20); testimoniano inoltre come questo ministero – fatto salvo ciò che è proprio ed esclusivo del compito fondante dei Dodici – venga trasmesso alle generazioni successive. Oltre ai testi ben noti sull’imposizione delle mani (cfr 1Tim 4,14; 5,22; 2Tim 1,6), è emblematico da questo punto di vista il discorso di addio di Paolo agli anziani (“presbiteri”) della Chiesa di Efeso convocati a Mileto: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistato con il suo sangue” (At 20,28), così come l’esortazione di Pietro agli anziani (“presbiteri”), quale “anziano come loro (“co-presbitero”), testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,1-4).
L’indole radicalmente cristologica del ministero della nuova Alleanza richiede da ciascuno di noi che abbiamo ricevuto questo grande dono anzitutto la consapevolezza che non si tratta di qualcosa che ci appartiene in proprio, ma soltanto di un dono. L’espropriazione di noi stessi e il non far conto su noi stessi, per consegnarci e affidarci integralmente, con Cristo e come Cristo, al Padre, è pertanto la forma fondamentale dell’esistenza del sacerdote. La parola di Gesù “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,4), che corrisponde profondamente all’altra “Il Figlio da sé non può fare nulla” (Gv 5,19), assume dunque una pertinenza e rilevanza speciale per noi sacerdoti: in effetti con le nostre forze umane non potremmo compiere nulla di ciò che è più specifico del nostro ministero, non potremmo dire: “Questo è il mio corpo”, “Ti sono rimessi i tuoi peccati”, “Ricevi lo Spirito Santo”. Anche nel servizio della Parola, come ha detto il Papa il 13 maggio 2005 ai sacerdoti di Roma, “siamo mandati non ad annunciare noi stessi o nostre opinioni personali, ma il mistero di Cristo e, in lui, la misura del vero umanesimo”. Vengono qui in piena luce il senso e il motivo per i quali il sacerdozio ministeriale può essere conferito solo mediante un sacramento: la parola “sacramento” sta infatti ad indicare ciò che non fa capo a noi stessi, ad una nostra abilità o iniziativa, o a qualche gruppo o comunità umana, ma prende origine e vigore unicamente dal Mistero di salvezza che ci precede, ci compenetra e ci rende nuovi.
In quanto ministri della nuova Alleanza siamo dunque, come il Signore Gesù a cui siamo stati configurati, totalmente relazionati al Padre che ci ha mandato e ai fratelli in umanità ai quali siamo mandati. Le condizioni storiche nelle quali oggi ci troviamo ad operare, anche in un Paese come l’Italia di antichissima e assai radicata tradizione cristiana, rendono urgente sottolineare e sviluppare in concreto l’indole missionaria del sacerdozio della nuova Alleanza, ma in realtà questa indole è per esso costitutiva, fin dalla sua origine in Gesù Cristo e nei “Dodici”: perciò esso a buon diritto è chiamato “sacerdozio apostolico”, non solo in quanto viene a noi attraverso gli Apostoli ma anche nel senso proprio della parola greca “apostolo”, che significa “inviato”, “mandato”. Le circostanze attuali ci aiutano dunque, e quasi ci costringono, a vivere effettivamente la nostra autentica vocazione.
Avendo in Cristo la sua origine e la sua configurazione essenziale, il nostro sacerdozio è per sua natura ecclesiale, è necessariamente riferito al corpo di Cristo, che è inseparabilmente corpo eucaristico e corpo ecclesiale. Nell’Eucaristia che celebriamo siamo introdotti nell’amore di Cristo e pertanto nell’amore alla Chiesa. Il senso di appartenenza alla comunità cristiana, nella pienezza delle sue dimensioni, compresa chiaramente quella istituzionale, è dunque iscritto nel nostro essere di sacerdoti, così come quella “forma comunitaria” per la quale il ministero ordinato, pur coinvolgendo quanto c’è di più intimo nella persona, può essere esercitato solo come “un’opera collettiva” (cfr Pastores dabo vobis, 17).
Analogamente, l’obbedienza di Cristo al Padre (cfr Mc 14,26; Fil 2,8; Ebr 5,8) è il paradigma dell’obbedienza che accomuna noi Vescovi e i nostri sacerdoti nei confronti di Cristo e della Chiesa: è questo lo spazio entro il quale trova la sua genuina motivazione e il suo significato quella concreta disponibilità all’obbedienza che come Vescovi dobbiamo chiedere ai sacerdoti.
Nella medesima prospettiva di configurazione a lui, al suo modo di essere e di agire, si colloca la richiesta di totale distacco e di disponibilità ad affrontare la persecuzione che Gesù rivolge ai suoi discepoli quando, ancora nel tempo della sua vita terrena, li manda alle città e ai villaggi di Israele (cfr Mt 10,7-20; Mc 6,7-11; Lc 9,1-5; 10, 3-12).
Alla radice di ciascuno di questi atteggiamenti sta ancora una volta quella grande legge dell’amore per la quale S. Agostino ha chiamato il nostro ministero amoris officium (In Iohannis Evangelium Tractatus 123,5). È ciò che il Signore Gesù ha espresso dicendo di se stesso: “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,11). Quando identifichiamo nella carità pastorale la spiritualità propria e l’anima del sacerdozio ministeriale dobbiamo sempre risalire a questa radice cristologica, alla sua forza dirompente che supera ogni confine. La carità pastorale è chiamata pertanto ad abbracciare ogni essere umano, perché per tutti ha dato la sua vita il Buon Pastore, a conoscere con sguardo d’amore ciascuna persona a noi affidata, a donarsi e a spendersi quotidianamente per condurre tutti nell’unico gregge del Signore. Anche oggi abbiamo esempi di sacerdoti che hanno sacrificato la propria vita come il Buon Pastore: ricordiamo qui soltanto Don Pino Puglisi e Don Andrea Santoro.
Cari Confratelli, prendendo in esame le circostanze in cui viene esercitato, nell’Italia di oggi, il ministero presbiterale, dovremo senz’altro evitare di nascondere o sminuire con un falso spiritualismo o moralismo le difficoltà e i problemi che rendono in tanti casi duro e faticoso il cammino dei nostri sacerdoti e che hanno bisogno di essere concretamente affrontati. Non si può rinunciare però ad inquadrare sia le difficoltà sia gli aspetti confortanti e positivi dentro al dinamismo cristologico e missionario che caratterizza il ministero della nuova Alleanza: se non lo facessimo finiremmo con l’indicare soluzioni peggiori dei problemi.
Ad esempio, sia i rapporti tra Vescovi e presbiteri sia quelli tra presbiteri e laici vanno tenacemente indirizzati verso quella logica del servizio escatologico che è propria del Signore Gesù (cfr Mc 10,45), quindi della comunione e della missione che, pur con le tante differenze di ruoli e di compiti, alla fine tutti ci unisce (cfr Apostolicam actuositatem, 2). In particolare, il riconoscimento dell’indole costitutiva del sacerdozio ministeriale per l’esistenza e la missione della Chiesa non si pone affatto in concorrenza o in alternativa con la valorizzazione concreta del sacerdozio comune dei fedeli: al contrario, il sacerdozio ministeriale è essenzialmente rivolto a rendere e a mantenere l’intero popolo di Dio consapevole del suo carattere sacerdotale, così che esso renda gloria a Dio con tutta la propria vita (cfr Rom 12,1; 1Pt 2,9-10).
Anche gli aspetti che toccano più da vicino l’esistenza quotidiana e il lavoro pastorale di gran parte dei sacerdoti, come la solitudine, l’età avanzata, il moltiplicarsi stesso delle incombenze pastorali, o gli ostacoli che si incontrano nel ministero e il minor apprezzamento per la propria fatica, o anche la pressione che esercitano, sia pur in maniera non intenzionale, una società, una cultura e degli stili di vita in cui è assai largo lo spazio per l’individualismo, il consumismo, l’ostentazione di una sessualità fine a se stessa, vanno inquadrati e affrontati a partire dalla radice cristologica del nostro ministero. Diventa possibile allora resistere, da una parte, alle tentazioni dell’imborghesimento, dell’ambizione personale e di comportamenti individualistici, o anche pesantemente infedeli agli impegni liberamente assunti con il sacerdozio; non rinchiudersi, d’altra parte, in atteggiamenti di pessimismo unilaterale o di lamento sterile ed esagerato.
La parola e l’esempio del Signore, l’esperienza dei Santi e l’insegnamento costante della Chiesa ci ammoniscono d’altronde che soltanto un’assidua e intensa vita di preghiera può metterci in condizione di conformarci realmente e in maniera duratura al dono straordinariamente grande, ma proprio per questo superiore alle forze umane, che abbiamo ricevuto con il nostro sacerdozio. La preghiera rimane pertanto la prima e più importante caratteristica della nostra esistenza quotidiana: anzitutto da essa, oltre che dalla nostra gioia di essere sacerdoti, dobbiamo attenderci le nuove vocazioni che assicurino la continuità del nostro ministero.
7. Passando ad esaminare la situazione dell’Italia, le recenti elezioni politiche hanno prodotto, insieme ad un risultato di massimo equilibrio nel voto popolare, l’avvicendamento della maggioranza di governo. Sono seguite le designazioni delle più alte cariche istituzionali: auguriamo in particolare al nuovo Capo dello Stato di poter essere, come il suo predecessore, punto di riferimento e fattore di unità sicuro e comunemente apprezzato, nel solco – come ha scritto il Papa nel suo telegramma augurale – “degli autentici valori umani e cristiani che costituiscono il mirabile patrimonio del popolo italiano”.
È ora imminente la formazione del nuovo Governo, che ha davanti a sé compiti molto impegnativi e in uno dei due rami del Parlamento può contare su una maggioranza assai ristretta. In questa situazione diventa ancor più importante e indispensabile, per il superiore interesse del Paese, che entrambi gli schieramenti politici, ciascuno nel proprio ruolo e tenendo conto della misura del consenso ricevuto, non si arrestino nelle contrapposizioni, ma cerchino piuttosto di dar vita a una dialettica costruttiva e davvero reciprocamente rispettosa. Lo richiedono i problemi che l’Italia non può non affrontare e ancor prima la qualità stessa della nostra vita civile e la compattezza del tessuto sociale. In questo spirito dovrebbe svolgersi anche il confronto in ordine all’ormai molto prossimo referendum popolare confermativo della riforma della seconda parte della Carta costituzionale.
L’economia italiana dà finalmente segni di ripresa, nel contesto della fase di espansione che prosegue a livello mondiale e sembra affermarsi anche in Europa. Questi segni non possono però far dimenticare i nostri punti di debolezza e le difficoltà di lungo periodo. Rimanendo sul piano più direttamente socio-economico, le capacità produttive e la cosiddetta competitività del “sistema Italia”, e quindi l’incremento dell’occupazione, devono fare i conti, oltre che con il condizionamento che eserciterà per molto tempo la situazione complessiva della finanza pubblica, con alcuni ben noti problemi, come quelli delle risorse energetiche – per le quali purtroppo l’Italia si trova in condizioni di massima dipendenza –, delle infrastrutture, del degrado di vaste aree territoriali, che ci è stato ancora una volta tristemente ricordato dalla frana che ha distrutto una famiglia ad Ischia il 30 aprile. Riguardo a questi problemi deve maturare seriamente e diffondersi con rapidità nelle nostre popolazioni una consapevolezza che finora sembra mancare, insieme ad un’operosa assunzione di responsabilità da parte delle autorità politiche e amministrative.
Altre problematiche, ancora più decisive per lo sviluppo e il futuro del Paese, hanno a che fare in maniera più profonda e specifica con l’indole e la qualità della persona umana, che oggi non è soltanto il primo valore ma anche, come insegna l’Enciclica Centesimus Annus (n. 32), “la principale risorsa dell’uomo” e “il fattore decisivo” dello sviluppo e della stessa produzione di beni. Assume pertanto importanza centrale l’educazione, che comprende l’istruzione intellettuale e la preparazione tecnica e operativa ma non si limita a queste, riguardando l’integralità della formazione della persona. In questo campo il nostro Paese è chiamato a intensificare il proprio impegno, che chiama in causa non solo le pubbliche autorità, la scuola e le altre “agenzie educative”, ma anzitutto le famiglie e l’intera società civile: qui la comunità cristiana ha a sua volta una propria missione che cerca di svolgere in varie forme, chiedendo per il suo adempimento condizioni di parità effettiva.
Sempre in rapporto al futuro di un popolo, la premessa indispensabile è evidentemente la continuità delle generazioni, l’accoglienza e la nascita di nuove vite. Specialmente sotto questo profilo il nostro Paese appare a rischio, un rischio che sta maturando e aggravandosi ormai da vari decenni e che, a motivo delle dinamiche dei processi demografici, non può certo essere scongiurato da piccoli segnali in senso contrario, come sono i lievi incrementi del tasso di natalità registrati in Italia negli ultimi anni, che pure vanno accolti con gioia. È questa dunque la nostra effettiva priorità nazionale sulla quale occorre concentrare – al di là delle divisioni politiche ed ideologiche – uno sforzo comune, ciascuno secondo le responsabilità che gli sono proprie, da quelle delle giovani coppie e del loro più ampio contesto familiare a quelle delle pubbliche istituzioni, degli operatori economici, degli uomini di cultura e dell’informazione, dell’intera società civile, e naturalmente della Chiesa e della sua pastorale.
In questo contesto storico e sociale si colloca il nostro impegno a favore della vita umana, dal primo istante del suo concepimento fino al suo termine naturale, e della famiglia legittima fondata sul matrimonio: per conseguenza il rifiuto dell’aborto, “delitto abominevole” (Gaudium et spes, 51) la cui gravità si va purtroppo oscurando nella coscienza di molti ma che rimane un atto intrinsecamente illecito che nessuna circostanza, finalità o legge umana potrà mai giustificare (cfr Enciclica Evangelium vitae, nn. 58-62), come anche dell’eutanasia e dell’utilizzo degli embrioni umani; e parimenti l’opposizione ai tentativi di dare un improprio e non necessario riconoscimento giuridico a forme di unione che sono radicalmente diverse dalla famiglia, oscurano il suo ruolo sociale e contribuiscono a destabilizzarla.
Cari Confratelli, sappiamo bene che questo nostro impegno è spesso mal tollerato e visto come indebita intromissione nella libera coscienza delle persone e nelle autonome leggi dello Stato. Ma non per questo possiamo tacere, o sfumare le nostre posizioni. È infatti nostra comune e profonda convinzione, confermata dall’insegnamento chiaro e costante della Chiesa e sostenuta dall’esperienza umana e in particolare dalla grande tradizione di civiltà della nostra nazione, che abbiamo a che fare qui con quelli che il Papa ha denominato “principi non negoziabili” (discorso del 30 marzo 2006 ai rappresentanti del Partito Popolare Europeo). Essi sono tali anzitutto per la loro intrinseca valenza etica, che non è però qualcosa di astratto e aprioristico: si lega invece sia a quel grande bene sociale che è la nascita e l’educazione dei figli sia alla genuina e duratura felicità delle persone. Del resto, non dobbiamo vedere soltanto il peso negativo delle contestazioni all’insegnamento sociale e morale della Chiesa: esse infatti ci offrono l’occasione di fare, per così dire, una grande e pubblica catechesi, paziente e rispettosa ma chiara, e hanno già involontariamente favorito il crescere, in strati sempre più ampi del popolo italiano, di una più precisa coscienza di alcuni valori essenziali e della necessità di sostenerli e difenderli, in vista del bene comune.
Le mode editoriali e cinematografiche, oggi in particolare quella riguardante il cosiddetto Codice da Vinci, mostrano a loro volta la necessità e offrono l’occasione di un’opera capillare di catechesi, e prima ancora di informazione storica, che, usufruendo anche delle attuali tecniche e metodologie di comunicazione, aiuti la gente a distinguere con chiarezza i dati certi delle origini e dello sviluppo storico del cristianesimo dalle fantasie e dalle falsificazioni, che hanno primariamente uno scopo commerciale ma costituiscono anche una radicale e del tutto infondata contestazione del cuore stesso della nostra fede, a cominciare dalla croce del Signore. Certamente, già il Nuovo Testamento conosce la tendenza ad andare dietro alle favole, piuttosto che dare ascolto alla testimonianza della verità (cfr 2Tim 4,3-4; 2Pt 1,16), ma è difficile sottrarsi alla sensazione che il grande successo di lavori come Il Codice da Vinci abbia a che fare con quell’odio, o quel venir meno dell’amore per se stessa che, come osservava l’allora Cardinale Ratzinger (Senza radici, ed. Mondadori, pp. 70-71), si è insinuato nella nostra civiltà. Anche in questo caso, però, non è il caso di cedere al pessimismo: alla fine il fascino della verità è più forte di quello dell’illusione, e di verità la nostra gente oggi ha una grande sete.
Un’attenzione peculiare, all’inizio della nuova legislatura, è giusto infine richiamare sullo sviluppo del Meridione: anche qui occorrono una consapevolezza e uno sforzo ampiamente condivisi, perché proprio nel Meridione si ritrova buona parte delle possibilità di un futuro più dinamico del nostro Paese. Ciò che è avvenuto nell’ultimo periodo a Locri, con la gravissima serie di attentati e gesti intimidatori, per i quali va tutta la nostra solidarietà al Confratello Giancarlo Maria Bregantini e alla sua Chiesa, ma anche con il grande segnale di coraggio e di speranza dato da migliaia di persone, soprattutto giovani, indica che le radici del male sono profonde e tuttavia, anche nei contesti più difficili, è possibile e doveroso un cammino nuovo.
8. Allargando lo sguardo al quadro internazionale, sono molti purtroppo e tendono ad aggravarsi i motivi di preoccupazione. A fine marzo hanno avuto luogo le elezioni politiche nello Stato di Israele, ma non è stata ancora trovata la strada per uscire da quelle difficoltà che sono sorte dopo le elezioni del 25 gennaio per il Parlamento palestinese.
In Iraq e in Afghanistan, nonostante i significativi passi compiuti per realizzare legittimi assetti istituzionali, la situazione concreta si è ulteriormente complicata e aggravata e le forze italiane hanno dovuto pagare un nuovo e pesante contributo di sangue, con l’uccisione a Nassiriya, il 27 aprile, dei militari Nicola Ciardelli, Carlo De Trizio e Franco Lattanzio, oltre che di un soldato rumeno, mentre in seguito è deceduto uno dei feriti, il maresciallo Enrico Frassinito. Pochi giorni dopo, il 5 maggio, sono stati uccisi a Kabul i due alpini Manuel Fiorito e Luca Polsinelli e altri quattro sono stati feriti. È grande il nostro dolore e intensa la nostra preghiera per questi uomini probi e coraggiosi, caduti nell’adempimento del loro dovere, e per i loro familiari. Mons. Angelo Bagnasco, Ordinario Militare, nell’omelia della Messa per i morti di Nassiriya, ha interpretato i sentimenti profondi del popolo italiano con queste parole: “Quando la consapevolezza della fatica e dei rischi è congiunta e sostenuta dalla nobiltà delle motivazioni, … allora emerge e si staglia l’eroismo, quello che è lontano dalla retorica perché vero, che non cerca esibizioni e applausi perché umile, che si sostanzia della buona coscienza di fronte a sé, agli uomini e a Dio, sorgente e garante di ogni valore”.
È cresciuta nell’ultimo periodo la tensione per i programmi nucleari dell’Iran: questa nuova emergenza internazionale conferma la fondatezza dei richiami del Papa, che nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (n. 13) ha denunciato come “del tutto fallace” la prospettiva di garantire la sicurezza dei singoli Paesi attraverso il possesso delle armi nucleari ed ha esortato tutti i Governi che già ne dispongono o intendono procurarsele a invertire congiuntamente la rotta, orientandosi verso un progressivo e concordato disarmo nucleare.
Il terrorismo internazionale, di matrice soprattutto islamica, continua a colpire secondo una strategia globale e nello stesso tempo assai articolata nei suoi attori e nelle sue manifestazioni, da ultimo con il triplice attentato del 24 aprile in Egitto. Per poter venire a capo di questa orribile minaccia e di questa sfida, che si prospetta purtroppo di lungo periodo, occorre saper congiungere alla chiarezza della condanna morale e alla determinazione nella resistenza e nel contrasto le superiori risorse dell’amore e del perdono.
L’uccisione del sacerdote romano Don Andrea Santoro, avvenuta domenica 5 febbraio a Trabzon – l’antica Trebisonda – nella Turchia orientale, mentre stava pregando nella chiesa a lui affidata, ha profondamente commosso il popolo italiano e destato forte impressione anche al di là dei nostri confini. Essa ci ha resi più attenti a ciò che malauguratamente avviene in varie parti del mondo, dove non di rado dei cristiani pagano con la vita, oltre che con molteplici vessazioni, il prezzo della loro fede, o la Chiesa è comunque impedita di esercitare liberamente la propria missione – in questi ultimi tempi il nostro pensiero va in particolare alla situazione in Cina –; né possiamo dimenticare coloro ai quali è proibito, perfino con la minaccia della morte, di farsi cristiani. In presenza di tutto ciò rendiamo umilmente grazie al Signore per la testimonianza che anche oggi i suoi discepoli rendono al suo nome e nello stesso tempo siamo chiamati ad offrire ai nostri fratelli perseguitati la solidarietà più forte e più concreta, che deve superare ogni prudenza politica e ogni frontiera. Sono qui in dovere di una precisa assunzione di responsabilità anche gli Stati e gli organismi internazionali che pongono a proprio fondamento il riconoscimento dei diritti umani.
L’Africa continua ad essere terra di grandissime sofferenze. Ricordiamo in particolare le vittime dell’esplosione di un oleodotto in Nigeria, avvenuta solo tre giorni or sono. Molto maggiore è il numero di coloro che perdono quotidianamente la vita per la mancanza d’acqua e di cibo, per le malattie contagiose e per le guerre fratricide: basti pensare alle situazioni del Darfur e del “Corno d’Africa”. Anche qui sono interpellate in maniera stringente la nostra coscienza di cristiani e la solidarietà internazionale.
In un contesto di questo genere, si avverte fortemente il bisogno di una maggiore presenza dell’Europa, e in particolare dell’Unione Europea, sulla scena mondiale. Finora però, sia riguardo all’approvazione del Trattato costituzionale sia in ordine alla realizzazione di una comune politica estera e di difesa, l’Unione Europea non è riuscita a superare la posizione di stallo che si è venuta a creare: questi sono dunque gli ambiti su cui concentrare gli sforzi e far prevalere lo spirito unitario. Viceversa, specialmente da parte del Parlamento europeo, si insiste in pronunciamenti che non rispettano il criterio della sussidiarietà, la cultura e le tradizioni proprie dei diversi Paesi membri, e contrastano gravemente con fondamentali verità antropologiche. È questo, ad esempio, il caso della risoluzione del 18 gennaio riguardante l’omofobia in Europa, che respinge giustamente gli atteggiamenti di discriminazione, disprezzo e violenza verso le persone con tendenze omosessuali, ma sollecita anche un’equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali con quelli delle famiglie legittime, chiedendo ai Paesi membri – sia pure in maniera non vincolante – una revisione delle rispettive legislazioni nazionali. Le Conferenze Episcopali Polacca e Spagnola si sono già espresse con forza contro tale risoluzione e anche noi, che l’avevamo già deplorata in occasione del Consiglio Permanente di fine gennaio, uniamo con fermezza la nostra voce alle loro. In simili atteggiamenti delle Istituzioni europee è possibile ravvisare l’onda lunga dei processi di secolarizzazione, ma anche la mancata percezione di un clima diverso che si sta facendo strada nelle popolazioni europee, con la riscoperta della propria identità religiosa, morale e culturale e dei suoi valori e contenuti essenziali.
Cari Confratelli, come ci ricorda spesso il Papa, la preghiera è la condizione prima e più importante dell’efficacia del nostro impegno pastorale. Affidiamo dunque alla Vergine Maria, alla quale è profondamente legata la grazia del ministero sacerdotale, i lavori di questa Assemblea, e con lei invochiamo il suo sposo Giuseppe e tutti i Santi e le Sante Patroni delle nostre Chiese.
Vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre.
Camillo Card. Ruini
Presidente