Tratta degli schiavi: mea culpa africano

Avvenire.it 18 novembre 2009

di Daniele Zappalà

Il mea culpa è senza precedenti in Africa. «Non possiamo continuare ad accusare gli uomini bianchi allorquando gli africani, in particolare i capi tradizionali, non sono irreprensibili», recita l’appello proveniente dalla Nigeria, autentico gigante demografico del continente.
Aggirando gli scogli tanto del revisionismo quanto della vendetta identitaria contro un Occidente visto come malvagio burattinaio planetario, un collettivo di associazioni nigeriane per i diritti umani è appena uscito allo scoperto cercando d’imporre invece un punto di vista originale sul più vecchio ed aspro dibattito della storia africana. Quello sulla Tratta negriera, al singolare.

O sulle «Tratte», come vuole invece un ramo della storiografia più recente particolarmente attento alle diverse direttrici geografiche (europea, ma anche araba ed inter-africana) e ai volti locali differenziati che ebbe quanto nel suo insieme resta innegabilmente uno dei più atroci crimini di sempre contro l’umanità. Il cuore dell’appello lanciato dal Congresso dei diritti civici (Crc), piattaforma associativa forte di diverse decine di Ong nigeriane, riguarda proprio i concorsi di responsabilità radicati in Africa nei secoli della spaventosa riduzione di milioni di africani a semplice «merce» di scambio.

Le associazioni hanno chiesto in particolare ai «capi tradizionali africani di scusarsi per il ruolo che i loro avi hanno giocato nella tratta degli schiavi». A livello occidentale, la lista delle scuse è ormai lunga. Lo scorso giugno, ad esempio, il Senato americano ha anch’esso espresso solennemente la propria afflizione per «l’inumanità, la crudeltà, l’ingiustizia fondamentale della schiavitù». E la ferma volontà di un trionfo della verità aveva già destato memorabili «abbracci» simbolici fra l’Africa e i Paesi occidentali protagonisti di un passato tanto ignominioso.

Restano in particolare incise nelle coscienze le frasi impiegate nel 1992 da Giovanni Paolo II durante la visita al memoriale nell’isola senegalese di Gorée: «Da questo santuario africano testimone del dolore nero, impetriamo perdono al cielo», disse Papa Wojtyla, riferendosi «all’orribile aberrazione di coloro che riducevano in condizioni di schiavitù i fratelli e le sorelle che il Vangelo ha chiamato a libertà».

Ma sul fronte africano, il riconoscimento dell’esistenza di responsabilità locali ha sempre tardato ad emergere. Anche perché molte pagine della storia secolare degli eccidi negrieri, trasmesse perlopiù oralmente, restano ancor oggi al centro di controversie fra gli storici. Molte zone d’ombra residue sono spiegate in Africa anche dal peso memoriale insopportabile suscitato da ogni ricostruzione. Ma al contempo, questa relativa foschia ha talora lasciato il campo libero ad interpretazioni aberranti e talora di stampo estremista.

Certe associazioni «nere», soprattutto negli ultimi anni, hanno cavalcato la complessa memoria negriera per alimentare un clima di tensione nei confronti dell’Occidente. Talora, con pericolose scorciatoie interpretative: ad esempio, intrecciando abusivamente le presunte colpe «assolute» dei negrieri di ieri giunti dall’Europa con le colpe anch’esse «assolute» dei presunti potentati dello «sfruttamento post-coloniale».

I rischi di un revanscismo memoriale sempre più estremo e fanatico sono divenuti evidenti in particolare in Francia e Gran Bretagna, con la pubblicazione di violenti pamphlet che hanno in taluni casi assimilato le decisioni degli ex leader politici europei dell’epoca coloniale con i crimini del nazismo hitleriano.

Negli stessi pamphlet, gli storici delle «tratte», a cominciare dal francese Olivier Pétré-Grenouilleau, sono stati assimilati ai revisionisti della Shoah. Anche per questo, l’appello del Crc è apparso fin da subito come un segnale estremamente salutare, nonostante esso s’iscriva probabilmente anche nello sfondo dei contenziosi in corso in Nigeria sul riconoscimento costituzionale dei leader tribali.

Nell’appello, si ricorda che i capi tribali giocarono un ruolo importante «aiutando sistematicamente a condurre dei raid e dei ratti presso comunità senza difesa», prima ancora dunque della consegna dei prigionieri (talora già schiavi nei rispettivi villaggi) ai battelli negrieri in rotta nell’Atlantico.

La costa nigeriana, e in particolare la città di Badagri, furono a più riprese il teatro di questi concorsi di responsabilità, così come tante altre regioni africane, dal Senegal fino all’Angola. E certe figure come quella del «re traditore Guezo», nel Benin ottocentesco, resteranno per sempre negli annali per il ruolo particolarmente attivo nelle deportazioni.