In nessun momento siamo massa informe
Uno studio dell’Università di Cambridge contraddice il “dogma”scientifico secondo cui per diversi giorni dopo il concepimento l’embrione sia semplicemente una massa informe di cellule…
di Marina Corradi
Il “progetto” di un embrione è già definito 24 ore dopo il concepimento. Quando lo zigote, la prima cellula nel nuovo organismo, si è moltiplicata appena due volte, già ha un asse che resterà riconoscibile nell’asse di sviluppo dell’individuo. E già è definito esattamente da quali cellule si svilupperà la nuova creatura, e quali invece formeranno la placenta.
Lo afferma una ricerca dell’Università di Cambridge – anticipata da «Nature» – che dopo lunghi studi sugli embrioni dei topi contraddice quella che era fino a pochi anni fa convinzione generale dell’embriologia: e cioè che per diversi giorni dopo il concepimento l’embrione sia semplicemente una massa informe di cellule, destinate a una differenziazione solo dopo l’annidamento nell’utero materno.
Il lavoro potrebbe avere delle ripercussioni sulla ricerca con le staminali, e anche sulla medicina prenatale. Una “differenziazione” cellulare così precoce porrebbe il problema di quei prelievi tendenti a accertare malattie genetiche ereditarie, che vengono effettuati quando l’embrione si è moltiplicato a otto cellule. Benché sia conosciuta la “flessibilità” dell’embrione nei suoi primi stadi, il dubbio che insorge è che si debba prestare attenzione a “quali” di queste cellule vengono prelevate.
Ma, al di là delle conseguenze pratiche, l’annuncio di Cambridge assume un altro valore: nei mammiferi, e dunque nell’uomo, l’embrione non è, nemmeno nelle primissime duplicazioni, massa amorfa, non è materia grezza in attesa di essere organizzata. Non è “cosa”, ma – fin dal principio – disegno. Già 24 ore dopo i compiti sono stabiliti, la mappa del nuovo individuo segnata e, diremmo anzi, scritta.
Addirittura si fa l’ipotesi che il punto stesso della penetrazione dello spermatozoo nell’ovocita “indirizzi” lo sviluppo dell’organismo. Quel punto infinitesimale nel buio non cadrebbe dunque dove vuole, nella casualità di una natura cieca. Invece, si tratterebbe di un luogo preciso, come voluto – quello e non un altro, perché già da tale particolare inclinazione nella sfera dello zigote verrebbe la prima traccia del nascituro. «C’è la memoria della prima scissione cellulare, nella nostra vita», ha scritto commentando un lavoro precedente Magdalena Zernicka-Goetz, autrice del lavoro pubblicato da «Nature».
La memoria di una impronta originaria, diversa da ogni altra fin dal primo giorno. In nessun momento un uomo uguale alla pura materia, o indistinguibile da ogni altro suo simile. Già nell’oscurità profonda dell’inizio, un disegno unico, mai ripetuto né più ripetibile. Quattro cellule e dentro, pronto a dispiegarsi, il cervello, le mani, gli occhi di un figlio.
Gli uomini, in questo buio di cui ancora sanno così poco vanno a mettere le loro mani orgogliose: tolgono, manipolano, selezionano. Come se fosse “roba”. Come se fosse un niente. Mentre c’è tutto, lì dentro, nascosto in un microscopico infinito: un altro uomo, dunque un mondo intero.
C’è una scienza, oggi, che dopo la pretesa arrogante comincia a dirci: eppure, il primo giorno già c’è un disegno. Commuove, una scienza capace di essere così grande, e umile insieme. Ma che già tutto fosse scritto, il primo giorno e, crediamo anzi, fin dal primo istante, altri uomini l’avevano intuito. «Non ti era occulto il mio essere/ allorché io fui formato nel segreto/ ed ero intessuto nelle profondità della terra», cantava un ignoto salmista ebreo, forse tremila anni fa.
AVVENIRE del 11 gennaio 2007