Italia libera? Sì, grazie ai cattolici
di Alessandro Gnocchi
18 aprile 1948: gli italiani a un bivio della loro storia. Vince la tradizione cattolica popolare e perde il socialcomunismo. L’ Italia è così un paese libero.
Massimo Caprara, allora segretario di Palmiro Togliatti: “Quando sentimmo che la scelta diventava tra Cristo e la sua negazione, capimmo di aver perso. L’appello di Gedda interrogava le coscienze individuali e chiamava a una scelta di libertà. I comunisti non erano attrezzati per sostenere uno scontro su quel terreno. I comizi dei Comitati Civici erano quasi incomprensibili per l’apparato del Pci. Quello slogan cattolico che diceva ‘Vita, Vita’ non aveva alternative nel campo avversario. Diceva una concezione positiva dell’uomo e del suo esistere che non avevano il minimo contraltare”.
Diciotto aprile 1948, gli italiani scelgono l’Italia.
Enunciata così, la tesi può sembrare persino semplicistica. Troppo lineare per pretendere di essere presa in considerazione dalla storia. Ma, se si cerca appena un poco di approfondirla, mostra una profondità che spiazza. anche il più scafato degli storici intenti a interpretare la vita degli uomini attraverso gabbie preconfezionate. Gli italiani, dunque, scelsero l’ Italia e non diedero vita ad un referendum fra Unione Sovietica e Stati Uniti. È un passo avanti, ma non basta ancora a fare notizia. Lo fecero perchè scelsero di continuare ad essere cattolici.
Questo dato, invece, può fare un po’ di rumore. Tanto più che, a voler essere precisi, scelsero di continuare a essere cattolici e non di diventare democristiani.
Palmiro Togliatti lo aveva intuito presto. Se lo scontro politico avesse preso i toni del confronto fra diverse concezioni dell’uomo, poteva avere un solo esito, la sconfitta della sinistra socialcomunista. Lo spiega con grande chiarezza Massimo Caprara, che allora era il braccio destro del segretario del Pci. “Alle elezioni del 1948”, ricorda, “si arrivò dopo un confronto aperto e libero tra due visioni del mondo. Ma si sbaglierebbe se si pensasse che si scontravano sostenitori dell’Unione Sovietica e sostenitori degli Stati Uniti. Su quella base, qualsiasi risultato sarebbe stato possibile. Il Pci, e Togliatti in particolare, capì che non ce l’avrebbe mai fatta quando fu gettata sul tappeto la scelta fra la tradizione cattolica italiana e la sua antitesi. Il 18 aprile vinse il cattolicesimo italiano, nazionale e popolare. Dove per popolare va inteso come espressione del popolo e non come categoria partitica”.
Da questo è facile dedurre che gli italiani non scelsero di diventare democristiani. Se l’opzione fosse stata quella, valeva tanto quanto il suo opposto politico.
Non fu la propaganda del partito di De Gasperi a fare la differenza. Furono i Comitati Civici di Luigi Gedda a segnare la svolta.
“Quando sentimmo che la scelta diventava tra Cristo e la sua negazione, capimmo di aver perso”, continua Caprara. “L’appello di Gedda interrogava le coscienze individuali e chiamava a una scelta di libertà. I comunisti non erano attrezzati per sostenere uno scontro su quel terreno. I comizi dei Comitati Civici erano quasi incomprensibili per l’apparato del Pci. Quello slogan cattolico che diceva ‘Vita, Vita’ non aveva alternative nel campo avversario. Diceva una concezione positiva dell’uomo e del suo esistere che non avevano il minimo contraltare”.
Dunque non rimaneva che cambiare strategia. Per questo Togliatti mise in atto la tecnica dell’avvicinamento, della contiguità con il mondo cattolico. Alle elezioni gli bastò mostrarsi come il vincitore nei confronti dei socialisti. Nella società, invece, sin da prima del 18 aprile, trovò più opportuno agganciarsi al mondo cattolico. Lo fece con l’unica parte del cattolicesimo disposta a cadere nella trappola. Quella elitaria, cattolica per formazione culturale. Quella decisamente non popolare. Quella rappresentata da intellettuali come Franco Rodano, per esempio. “Ma non fu una mossa vincente”, dice ancora Caprara, che frequentò a lungo Rodano e il suo ambiente, “perché quegli intellettuali non potevano portare consenso. Soprattutto, non potevano portare consenso cattolico. La loro concezione del cattolicesimo politico era la negazione del cattolicesimo popolare. Avevano un abito intellettuale cattolico, se vogliamo, ma, senza giudicarne la fede, erano lontani dal sentire della gente cattolica. Fu molto più redditizia, invece, l’operazione dei Comitati Civici che sottrassero elettorato popolare alla sinistra”.
D’altra parte non poteva andare diversamente. Pur ammantandosi di amore per il popolo, gli intellettuali di sinistra sono sempre stati elitari. A maggior ragione se appartenenti a sacche di cultura religiosa. Critici nei confronti del Magistero e della gerarchia, perennemente tentati dal radicalismo anticattolico pretendevano di pensare per tutti. Ma la strada era proprio quella opposta, sostiene Caprara. “Vinsero quelli che invitarono le singole persone a usare la propria testa. Vinsero i cattolici come Guareschi, che non rinunciarono mai a interpellare la propria coscienza e che mostravano di farlo veramente. Vinsero coloro che avevano orrore di chiunque gettasse il proprio cervello all’ammasso del partito. I trinariciuti inventati dal direttore di ‘Candido’ diedero un gran fastidio a Togliatti perché colpivano nel segno. Il militante comunista era sostanzialmente così. Aveva la terza narice per scaricare il cervello e riempire la testa con le direttive del partito. Molti di coloro che tapparono la terza narice cambiarono strada. Era inevitabile. Anche in questo, direi specialmente in questo, si mostrò l’anima profondamente cattolica del popolo italiano.
Gli italiani capirono che cattolico non è sinonimo di intruppato, ma sinonimo di uomo libero e scelsero la libertà. Attenzione, però, non un’idea disincarnata della libertà, ma piuttosto la sua applicazione, anche faticosa, nella vita di tutti i giorni”.
Erano magari anche i comunisti che andavano in edicola e ne uscivano con “l’Unità” ben in vista sotto il braccio, premurandosi però di controllare che l’edicolante vi avesse nascosto dentro il ‘Candido’. Erano magari i comunisti come Caprara che, più tardi, avrebbe intrapreso il suo viaggio verso la libertà lasciando il partito comunista.
Non è un caso che, proprio a Caprara, alla vigilia delle elezioni del 1948, toccò di affrontare un imprevisto decisamente rivelatore. Arrivò nella sede del Pci di Botteghe Oscure un sacerdote che chiese di benedire i locali. In assenza di Togliatti, toccò decidere al suo segretario.
“Eravamo sotto Pasqua”, ricorda lui. “Per me, come per molti altri militanti, la benedizione pasquale era un rito che avevamo vissuto sin da bambini. Mi lasciai prendere da quel ricordo e dissi al prete che poteva benedire. Lui era don Lucio Migliaccio, assistente ecclesiastico dei Comitati. Benedì e se ne andò. Allora non capii cosa significasse quel gesto per me.
Lo feci solo molti anni dopo leggendo un racconto di Guareschi. Quello in cui Peppone controlla che don Camillo non abbia cancellato il suo nome dalla lista dei battezzati. Anche perché, forse sin da allora, l’importante era essere nella lista dei cristiani”.
Massimo Caprara è stato segretario di Palmiro Togliatti dal 1944 per circa vent’ anni. Deputato nel Pci per quattro legislature, venne radiato dal partito nel 1969 con il gruppo del “Manifesto”, del quale è stato uno dei fondatori. Sindaco di Portici, suo paese natale, negli Anni 50, è stato poi consigliere comunale a Napoli. Giornalista professionista, ha lavorato per “Rinascita”, “II Mondo”, “L’Espresso”, “Tempo illustrato”. Ha diretto “illustrazione italiana”. Ora è editorialista del “Giornale”. Ha pubblicato vari studi sulla storia contemporanea. Il più recente è “Paesaggi con figure”, edito da Ares.
Bibliografia
Luigi Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998.
Mario Casella, 18 aprile 1948. La mobilitazione delle organizzazioni cattoliche, Congedo Editore, Galatina (LE) 1992.
Marco Invernizzi, Democrazia cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, n. 277, maggio 1998.
Marco Invernizzi, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, in Cristianità, n. 281, settembre 1998.
Cronologia
2 giugno 1946: un referendum istituzionale decide la nascita della repubblica (12.717.923 voti per la repubblica contro 10.719.284 per la monarchia). Il re Umberto II va in esilio in Portogallo.
2 giugno 1946: lo stesso giorno si tengono le elezioni per l’Assemblea costituente (le prime a suffragio universale). La Democrazia Cristiana ottiene 8.101.004 voti (35,2%), mentre socialisti e comunisti, che si presentano separati, ottengono rispettivamente il 20,7% e il 19% dei voti. Insieme, i due partiti di sinistra sarebbero stati maggioranza.
22 dicembre 1946: 400.000 cattolici si radunano in Piazza San Pietro e il Papa Pio XII rivolge loro il discorso con la frase: “O con Cristo o contro Cristo”. Grido raccolto da Luigi Gedda, che nel gennaio 1947 propone la fondazione di speciali comitati dei cattolici per contrastare l’anticlericalismo e l’avanzata comunista. È il preludio alla nascita dei Comitati Civici. Comincia la mobilitazione dei cattolici, anche se le elezioni sono ancora lontane.
1 gennaio 1948: entra in vigore la Costituzione repubblicana.
8 febbraio 1948: Luigi Gedda fonda i Comitati Civici. Ce ne saranno 18.000 con 300.000 attivisti che, con l’approvazione di Papa Pio XII, partecipano alla campagna elettorale.
18 aprile 1948: si svolgono le elezioni politiche per formare il primo parlamento della Repubblica italiana. Questa volta. Comunisti e Socialisti si presentano uniti nel Fronte Democratico Popolare. Come si vede, l’Italia corre il serio pericolo di diventare un Paese a conduzione socialcomunista, privato, come è accaduto in tutta l’Europa orientale, della libertà e del benessere. Il Pci è il più forte Partito Comunista d’Occidente ed è apertamente schierato sulle posizioni dell’URSS di Stalin. Ma il Fronte viene sconfitto, ottenendo solo il 31% dei voti contro il 48,5% dei suffragi ottenuti dalla Democrazia Cristiana. Si deve per massima parte a Luigi Gedda e ai suoi Comitati Civici questo enorme balzo in avanti della Democrazia Cristiana. Anche Giovannino Guareschi, sul settimanale Candido, condusse una implacabile battaglia contro il comunismo italiano, satellite di quello moscovita. I suoi articoli e i suoi disegni, riprodotti nei manifesti elettorali, fecero il giro d’Italia e spinsero alla resistenza e alla riscossa la maggioranza della popolazione intimidita e forse rassegnata al peggio. I Comitati Civici mobilitarono i cattolici per le piazze di Italia, denunciando il pericolo comunista e invitandoli a votare compatti. La Democrazia Cristiana, avvantaggiata da tale mobilitazione, passò dal 35,2% dei voti ottenuti nel 1946 al 48,5%, raccogliendo 12.741.299 voti, quasi cinque milioni in più del 1946. Ma non seppe poi essere riconoscente con Gedda.
13 luglio 1949: un decreto del Santo Uffizio dispone la scomunica dei comunisti.
Il Timone – Anno III, numero 12 – Marzo/Aprile 2001