Il Vicariato di Roma
sulla richiesta di funerali religiosi
per Piergiorgio Welby
Vicariato di Roma
Ufficio stampa e comunicazioni sociali
Comunicato stampa del 22 dicembre 2006
«In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti.»
(Il seguente comunicato è stato riportato dall’agenzia SIR)
Segue un DOSSIER
IL TRAPASSO STATALIZZATO.
E la chiamano battaglia di civiltà…
La disobbedienza civile ha avuto il sopravvento e per i radicali il successo politico è ottenuto: si aprirà dunque un caso e il Parlamento non potrà rimanere inerte…
In cinquant’anni di vita il Partito radicale ci ha abituati alle sue battaglie di disobbedienza civile. Ricordate gli aborti praticati da Emma Bonino per spingere la classe politica a fare una legge che consentisse l’interruzione di gravidanza? Il rifiuto a indossare la divisa per far approvare il diritto a non impugnare un’arma, svolgendo un servizio civile alternativo a quello militare? O – ancora – l’hashish distribuito da Marco Pannella per indurre il Parlamento a liberalizzare le droghe? Quelle dei militanti della Rosa nel pugno erano autentiche provocazioni, pugni nello stomaco con cui gli stessi radicali erano pronti a rischiare l’illegalità pur di richiamare l’attenzione su un problema. Le loro erano scelte politiche studiate ad arte per suscitare scandalo, finire sui giornali, aprire processi in cui, alla fine, non loro – i radicali – ma le questioni degli aborti clandestini, dell’obiezione di coscienza e dello spaccio di droga finissero sul banco degli imputati.
Si può essere d’accordo – e talvolta noi lo siamo stati – o meno su quelle «disobbedienze civili», ma è fuor di dubbio che i radicali mettevano in gioco loro stessi, anche dal punto di vista penale, pur di costringere il Paese a discutere, pur di riuscire a smuovere l’opinione pubblica e la politica.
Nel caso Welby però ci sembra siano andati oltre il pugno nello stomaco. Ciò che resta di quel partito appare vittima, stavolta, di un riflesso condizionato che lo condanna al ruolo di disobbedienza, senza rendersi conto che in gioco non c’era il diritto alla «canna» giornaliera o quello di non tenere in mano il fucile, ma una vita umana.
Confesso che il dramma di Piergiorgio Welby mi ha colpito e ha suscitato in me profonda tristezza. E non solo per il dolore di un uomo che soffre e non riesce più a vivere, ma anche per una vita piegata alle esigenze della battaglia politica: una campagna condotta in nome del diritto alla morte garantito per legge. Durante la conferenza stampa in cui i radicali hanno annunciato la morte dell’ex pittore non ho trovato traccia del dolore per la fine di questa vita. Il tono delle frasi pareva quello di una vittoria per mettere il Paese di fronte al fatto compiuto: Welby è morto, eutanasia è fatta. La provocazione ha conseguito l’obiettivo. La disobbedienza civile ha avuto il sopravvento e per i radicali il successo politico è ottenuto: il medico che ha staccato la spina probabilmente sarà indagato. Si farà un processo. Ci sarà, nuovamente, grande clamore mediatico. Si aprirà dunque un caso e il Parlamento non potrà rimanere inerte. Welby è morto, viva Welby. Se avesse continuato a vivere, prima o poi il dibattito sull’eutanasia sarebbe stato accantonato. Così invece non sarà.
Ciò che sconcerta è la sbrigatività con cui si liquida una vita, il cinismo con cui si reclama la morte garantita dallo Stato. Anzi, morte assistita dallo Stato o dai suoi rappresentanti. Perché è questo il nocciolo del problema: la morte, per loro, dev’essere un diritto sancito per legge. Un diritto da delegare perché qualcuno esegua.
Si obietterà: Welby voleva morire, Welby non voleva più vivere in quel modo. Lo so, e mi domando: chi stabilirà qual è il modo giusto in cui si può decidere che non si vuole più vivere e si lascia ad altri il compito di staccare la spina? Solo in caso di sclerosi che ti paralizza in un letto o anche in altri casi? Chi deciderà a che punto si può ricevere aiuto per morire? Risposta: l’individuo stesso, basterà un testamento biologico. Ognuno metterà per iscritto quando e se staccare la spina. Semplicissimo. La verità è che alla fine a deliberare sarà sempre un comitato, di giudici o esperti. Rappresentanti dello Stato decreteranno la modica quantità di vita che dà diritto alla morte. Una commissione sentenzierà se ci sono le condizioni per accedere all’assistenza per andare all’aldilà.
Che orrore e che terrore. Già lo Stato ci prende per mano appena nati e ci assilla fino alla morte. Così ci aiuterà anche a raggiungerla più in fretta, se lo vorremo o se avremo – qualche anno prima – espresso il desiderio di essere assistiti nel trapasso. È la statalizzazione della fine di una vita. Quasi un fatto burocratico. Si compila un modulo e si attende. E la chiamano battaglia di civiltà.
di Maurizio Belpietro
Il Giornale n. 302 del 2006-12-22 pagina 1
La morte di Welby lacera la sinistra Binetti: via la Bonino
La senatrice dl chiede le dimissioni del ministro. Toni duri dal Polo: osceno circo mediatico. Volontè: è un delitto da punire col carcere
È il tempo del dolore per i familiari di Piergiorgio Welby. Ma anche il tempo degli interrogativi etici che, appena velati dal lutto, risuonano nelle reazioni del mondo politico con toni a volte riflessivi, a volte vibranti. Molto partecipe l’intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al quale Welby si era rivolto in un drammatico appello chiedendo l’eutanasia. Il Capo dello Stato si rivolge alla vedova ricordando che «il dibattito in effetti ormai è aperto» e augurandosi «che possa presto approdare in Parlamento a conclusioni ponderate e condivise».
Se l’Unione si tiene sulle generali, mettendo l’accento sulla dimensione privatistica del dramma di Welby, la Casa delle libertà va all’attacco puntando il dito su chi avrebbe strumentalizzato per fini politici la vicenda. E poi c’è l’affondo di Paola Binetti, la senatrice cattolica della Margherita, che apre ufficialmente il «caso Bonino» chiedendone le dimissioni. «Mi ha stupito, addolorato, indignato il fatto che alla conferenza stampa di poche ore fa ci fosse anche un ministro del nostro governo. Il fatto che il ministro Emma Bonino, in quanto rappresentante radicale ma comunque con una doppia presenza, abbia legittimato una cosa che è contro la legge, mi fa chiedere assieme ad altri colleghi le sue dimissioni».
La tensione sale durante tutto il corso della giornata. Così come si fanno più dure le accuse del centrodestra che arriva a invocare l’arresto per chi ha proceduto a una «uccisione deliberata». «La prima spontanea riflessione è: lasciatelo riposare in pace» commenta Gianfranco Fini. «Nei confronti di Piergiorgio Welby è forte, soprattutto in questo momento, un sincero sentimento di umana pietà. Purtroppo, la sua commovente e tragica vicenda è stata sin troppo strumentalizzata per meschine ragioni politiche da chi ha dimostrato di non avere alcuna remora di tipo morale. Si è giunti alla bassezza di rivendicare come meritorio un atto che ha posto fine a una vita più che a una sofferenza. Chi lo ha fatto non potrà non rispondere alla giustizia». Toni simili per Riccardo Pedrizzi, presidente della Consulta etico-religiosa di An. «Noi preferiamo pensare che il Creatore si sia ripreso la creatura Welby, sottraendola all’osceno circo mediatico e al cinico disegno di chi l’aveva trasformata in mezzo per arrivare a una legge che legalizzasse l’eutanasia». Nessuno cita direttamente i Radicali. Ma si intuisce che nel mirino delle accuse lanciate dagli esponenti del centrodestra ci sono soprattutto loro, come confermano le parole di Maurizio Gasparri. «L’accanimento terapeutico va bandito ma non si può tacere su un uso strumentale di questa vicenda, sulla quale dovrebbero riflettere quanti si precipitano su casi eclatanti per farne una bandiera». Per Forza Italia a parlare è Domenico Di Virgilio, responsabile Sanità, che definisce il distacco della ventilazione a Welby «una uccisione deliberata». E Sandro Bondi punta il dito contro «la spettacolarizzazione», «l’enfatizzazione mediatica» e «l’utilizzo politico» della vicenda.
Durissimo l’Udc che, con Luca Volontè, avanza una richiesta secca e inequivocabile: «Arrestare i colpevoli di questo omicidio». Una dichiarazione che fa scattare la reazione del repubblicano Antonio Del Pennino il quale, dopo aver reso omaggio a Welby, definisce «volgari e inaccettabili le dichiarazioni di Volontè che ha voluto strumentalizzare, senza alcuna pietà cristiana, una umana e dolorosa vicenda».
Nel centrosinistra c’è il cordoglio di Fausto Bertinotti. Ma anche il basso profilo di Romano Prodi. «Credo che tutta l’attenzione oggi sia sulla persona e sui suoi familiari. Dal punto di vista politico, è chiaro che il dibattito cominciato proseguirà ed è chiaro che il Paese, un governo, non può non tener conto del grande valore della vita umana e quindi riflettere profondamente su questo caso. Non come caso singolo, ma come discorso generale». E se Pino Sgobio, dei Comunisti Italiani, chiede un intervento legislativo, il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, definisce «sconcertante la spregiudicatezza politica con cui i radicali affrontano in modo ambiguo e inquietante le questioni della vita e della dignità della persona».
Il Giornale n. 302 del 2006-12-22 pagina 4