L’Europa sta pagando cara la propria vocazione ad un malinteso multiculturalismo, troppo pronto a metter tra parentesi la propria identità culturale, storica e spirituale, per timore d’offendere chi, da noi, è ospite.
Una “sindrome da Calimero”, di cui sta facendo le spese, ad esempio, il Belgio, dove si teme una nuova ondata di jihadisti in arrivo.
Lo stesso nella regione autonoma di Catalogna, trasformatasi ormai in una vera e propria base operativa del terrorismo islamico nel Continente.
Cosa sta succedendo?
—–
Si fa presto a parlare di multiculturalismo, ma, per farlo, occorre tenere conto anche delle conseguenze: se ne sta accorgendo a proprie spese il Belgio, alle prese ancora con l’incubo del terrorismo islamico, una minaccia ritenuta «latente per molto tempo ancora» dal rapporto, pubblicato lo scorso 30 novembre dalla VSSE-Sûreté de l’État, rapporto in cui si parla espressamente del rischio incombente di una nuova ondata di jihadisti, o scarcerati per termine pena oppure “arruolati” ex novo – per così dire – direttamente nelle carceri del Paese, dove alto è il tasso di radicalizzazione. Solo nel settembre scorso, ad esempio, erano ben 130 i detenuti per reati connessi al terrorismo.
Non solo. Secondo un altro documento confidenziale dei servizi segreti, diffuso dai media lo scorso maggio, la radicalizzazione avverrebbe in modo crescente anche nelle moschee, in cui la jihad armata verrebbe predicata con sempre maggiore insistenza da imam appositamente formati allo scopo. In un manuale, trovato in una di esse, ad esempio, si legge: «Il principio più importante è combattere i miscredenti e gli aggressori. La jihad armata diventa un dovere individuale per ogni musulmano». Testi come questo vengono abbondantemente diffusi, sia in formato cartaceo sia online, «grazie ai mezzi finanziari e tecnologici illimitati dell’apparato di proselitismo dell’Arabia Saudita e di altri Stati del Golfo», recita il documento.
E’ giusto esser tanto remissivi?
Ma un altro incentivo alla radicalizzazione giunge, è bene precisarlo, anche dall’eccessiva remissività europea, troppo disinvoltamente pronta a parlare di multiculturalismo, guarda caso sempre a spese della propria identità culturale, storica e spirituale. Una sorta di “sindrome da Calimero” con una sola preoccupazione, quella di compiacere l’islam: ad esempio, rimuovendo le tradizioni cristiane, col pretesto di non voler «offendere la sensibilità» altrui.
Come fa notare in una propria analisi del fenomeno Judith Bergman del Gatestone Institute, è esclusivamente per questo motivo che, a Bruges, il «Mercatino di Natale» è divenuto un «Mercato invernale», come osservato dal quotidiano belga HLN. Secondo l’organizzatore dell’evento, Pieter Vanderyse, «se utilizziamo la parola Natale, viene associata ad una religione, allora vogliamo essere più neutrali». Lo stesso è accaduto a Bruxelles, Anversa, Gand e Hasselt.
L’islam, al contrario, non si fa questi problemi e proprio in Belgio ha fondato anzi un proprio partito, che si pone come obiettivo la creazione del cosiddetto “Stato islamico”, introducendo norme che, pian piano, spostano le abitudini quotidiane verso il Corano, ad esempio separando uomini e donne sui bus.
Situazione a rischio anche in Spagna
Che in Europa, del resto, vi siano pericolose enclave radicalizzate lo rivela anche quanto avviene in un’altra regione, quella autonoma di Catalogna, trasformatasi ormai in una vera e propria base operativa del terrorismo islamico nel Continente. A rivelarlo, dati alla mano, è l’attenta analisi recentemente compiuta in merito da Soeren Kern del Gatestone Institute di New York.
In Catalogna non solo risiede una delle più numerose comunità musulmane del nostro Continente (circa il 7% della popolazione totale), ma si annidano anche cellule di immigrati radicalizzati, come rivela un dispaccio diplomatico statunitense del 2 ottobre 2007:
«Non vi è dubbio – si legge – che la regione autonoma della Catalogna è diventata una base operativa primaria per attività terroristiche. Le autorità spagnole dicono di temere la minaccia, ma di avere pochissime informazioni su di esse o di avere una capacità molto limitata di penetrazione in questi gruppi».
Gli arresti confermano il pericolo
18 componenti di una di queste cellule – provenienti da Algeria, Egitto, Iraq, Libia e Marocco – sono stati arrestati dalla Polizia lo scorso 15 gennaio, perché pronti a compiere attentati a Barcellona e ad Igualada: dopo otto mesi di indagini, un centinaio di agenti della «Mossos d’Esquadra» ha fatto irruzione con un blitz in cinque edifici nell’ambito di un’operazione denominata «Alejandria» e li ha catturati.
Cinque i presunti capi dell’organizzazione, divisa in due sezioni, una “specializzata”, per dir così, nel pianificare attentati e l’altra, composta da 12 membri, dedita invece a rapine e furti, per raccogliere i fondi con cui autofinanziarsi (almeno 369 colpi messi a segno negli ultimi tempi solo nei dintorni di Barcellona). Secondo la Polizia, per far soldi, avrebbe gestito anche il traffico di droga e rubato documenti ai molti turisti, per poi reimmetterli sul mercato sommerso delle identità contraffatte, a disposizione dei jihadisti.
15 dei 18 jihadisti in manette, quelli dediti al furto ed alla contraffazione, tre giorni dopo i blitz delle forze dell’ordine, sono stati rilasciati. Non è stato possibile dimostrare un loro coinvolgimento nella progettazione degli attentati. Altri due invece hanno lasciato il carcere, dopo aver promesso di non lasciare la Spagna.
La soglia d’attenzione a Barcellona è massima dall’agosto di due anni fa, quando, come tristemente noto, Younes Abouyaaqoub, a soli 22 anni membro, con altre 10 persone, di una cellula terroristica islamica con base proprio in Catalogna, ha fatto strage di pedoni sulle Ramblas, falciandoli a bordo di un furgone, poche ore prima che un altro veicolo con 5 suoi complici a bordo si lanciasse contro la folla a Cambrils, uccidendo una donna spagnola e lasciando molti feriti sull’asfalto.
Ancora: lo scorso 18 dicembre, in una stazione di servizio lungo l’autostrada A7, nei pressi di Tarragona, è stato arrestato un 29enne olandese, Khalid Makran, jihadista.
Quattro giorni dopo, a Matarò, è finito in manette un 33enne marocchino senzatetto, accusato d’essere affiliato all’Isis. Aveva circolato in mezza Europa senza documenti.
Il 23 dicembre il Dipartimento di Stato Usa ha avvisato circa l’eventualità di un attacco jihadista a Barcellona e nei dintorni turistici durante le festività natalizie. La Polizia catalana ha dichiarato di aver ricercato Brahim Lmidi, un 30enne marocchino, autista, sospettato di voler compiere un attentato in zona con un bus. Lmidi, a piede libero, è legato ad una moschea salafita a Vilanova i la Geltrú.
Come sorvegliati speciali
Insomma, l’intera regione indipendentista è ormai sorvegliata speciale, perché teatro di movimenti sospetti da parte di membri dell’Isis. Del resto, da tempo nelle 98 moschee salafite (metà delle quali si trova proprio in Catalogna) viene proposta un’interpretazione rigida del Corano, si impedisce alle adolescenti di frequentare scuole con classi miste, si ordina alle donne di vestirsi in modo castigato e si chiede una “purificazione” dei credenti musulmani dalle influenze straniere.
Il triste elenco potrebbe continuare tra morti, arresti, condanne ed espulsioni, consumatisi tutti tra il mese di aprile e quello di dicembre scorsi. C’è anche chi soffia sul fuoco per motivi elettoralistici: i partiti indipendentisti promuovono l’immigrazione dai Paesi islamici arabofoni, nella speranza ch’essi parlino il catalano, anziché lo spagnolo.
Ma sono soddisfazioni ben magre e tali anzi da rischiare di diventare un pericoloso boomerang.
di Mauro Faverzani per Radici Cristiane n° 142
Abstract. In Italia, le prolifiche famiglie islamiche vengono mantenute dal nostro “welfare” e non han bisogno di lavorare.
Doversamente dalle dichiarazioni pre-elettorali, le Giunte di centro-destra generalmente lasciano tutti questi contributi per timore dei mass-media di regime.