La sinistra non “tradisce”. E’ trasformista di natura
di Roberto Marchesini
Come si fa a parlare di “tradimento” delle classi lavoratrici da parte della sinistra?
Tutta la filosofia della sinistra, da secoli, è fondata sul continuo divenire, sulla rivoluzione che “è permanente o non è”.
Il fine stesso della rivoluzione è il continuo, incessante, cambiamento. La classe lavoratrice con i suoi diritti è solo uno dei tanti pretesti.
E tre. Dopo Borgognone e Bagnai, anche Becchi si è aggiunto al coro. Tralasciando per ovvi motivi Rizzo, potremmo aggiungerci Sapelli e chissà quanti altri. La cosa, lo confesso, mi stupisce. Stiamo parlando di intellettuali veri, con una cultura vasta e insieme profonda; non dozzinale e raccogliticcia come la mia.
Come è possibile che tutti questi pensatori gridino al «tradimento della sinistra»? La sinistra ha tradito il lavoro, la sinistra ha tradito la classe lavoratrice, al sinistra ha tradito i più poveri, eccetera eccetera. Per come la vedo io, non c’è stato nessun tradimento: la sinistra non è mai stata dalla parte del lavoro, dei lavoratori e dei più poveri.
Ma cos’è la sinistra? Fin dall’origine dell’uso di questa parola in politica, essa ha indicato la parte più avanzata del pensiero rivoluzionario che ha come obiettivo la distruzione dell’ordine del creato, il rifiuto del Logos, il ritorno al chaos originario. Per secoli il pensiero rivoluzionario si è accontentato di opporsi all’ordine facendo l’opposto; per questo motivo è forse più opportuno utilizzare la parola «dissoluzione» (dell’ordine) piuttosto che «rivoluzione». Si pensi al pensiero gnostico, alla predicazione di Sabbatai Zevi e Jakob Frank, ai movimenti ereticali cristiani. Nell’Ottocento questo pensiero si arricchisce di un nuovo formidabile pensiero e diventando a pieno titolo «rivoluzione».
Si tratta del pensiero di Hegel, secondo il quale l’Assoluto immanente si manifesta come «divenire» secondo la famosa dialettica (tesi, antitesi e sintesi). Si tratta dell’esatto contrario dei capisaldi della filosofia aristotelica, ossia dei principi di identità e non contraddizione: la realtà è e non è; essa produce il suo opposto (antitesi) e lo ingloba ad un livello superiore (sintesi). Questo pensiero non è un parto di Hegel, ma probabilmente era parte del clima culturale tedesco dell’epoca.
Goethe, infatti, nel poema fondativo Faust introduce esattamente lo stesso concetto. Faust decide di tradurre l’incipit del Vangelo di Giovanni, «In principio era il Logos»; la traduzione protestante di Logos come «parola» (non «verbo», come per i cattolici) non lo soddisfa. Dapprima traduce con «pensiero», ma non è soddisfatto; poi con «forza», ma no! Infine ha un’idea, e pronuncia queste parole: «In principio era il divenire», cioè l’atto nel suo dispiegarsi. In quel momento si manifesta il diavolo Mefistofele, che si presenta con queste parole: «Sono lo spirito che nega sempre! E con ragione, perché tutto ciò che esiste merita di perire». Queste parole di Mefistofele riassumono splendidamente il nocciolo del pensiero rivoluzionario, spiegano perfettamente cosa sia la sinistra: l’odio contro tutto ciò che esiste.
San Paolo lo chiamava cupio dissolvi (Fil 1, 23-24); i Guns’n Roses, appetite for distruction. Nel caso qualcuno avesse qualche dubbio, ecco le parole di Engels (1820-1885): «La tesi della razionalità di tutto il reale si risolve quindi secondo tutte le regole del ragionamento hegeliano nell’altra: tutto ciò che esiste è degno di perire» (Friedrich Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma 1952, p. 19). Qui ancora Engels, insieme a Marx (1818-1883): «Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» (Karl Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 25); e qui ancora i due, nel Manifesto del Partito Comunista: «Tutto ciò che è istituito, tutto ciò che sta in piedi evapora, tutto ciò che è sacro viene sconsacrato, e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con sobrietà il loro posto nella vita, i loro rapporti reciproci» (Silvio Berlusconi Editore, Milano-Macerata 1998, p. 14).
Aveva dunque ragione Jean Daujat che, in un suo aureo libretto del 1977 (Conoscere il comunismo, Il Falco), scriveva: «[…] la storia è una rivoluzione continua, l’idea è in un movimento continuo di azione rivoluzionaria per far la storia negando, contraddicendo e mutando ciò che è. Tutto ciò che si presenta come realtà si deve negare, distruggere, perché si faccia la storia nella contraddizione e nella rivoluzione continua. Non vi è più alcuna verità stabile, che si avvera oggi, ieri, domani: affermare e negare non hanno più senso, l’uno e l’altro si chiamano e si confondono, resta solo l’azione che fa la storia» (p. 29).
Non a caso il socialista riformista Edward Bernstein (1850-1932) divenne famoso per la sua massima «Il movimento è tutto, il fine è nulla» (I presupposti del socialismo e i compiti della democrazia, Laterza, Bari 1978).
Ecco perché, come ci ha testimoniato il dissidente Vladimir Bukowski, Alessandro Natta potè dichiarare, ad una riunione del Comintern a Mosca «L’identità comunista è un processo in divenire, non è stata definita una volta per tutte».
Ecco perché, una volta caduto il muro di Berlino, i comunisti non si sono ritirati a vita privata, ma si sono proposti nuovamente sulla scena politica (cambiando nome, ma senza troppo sforzo); se avessero accettato i principi di identità e non contraddizione avrebbero dovuto ammettere l’errore e il fallimento. Invece il 1989 ha confermato la loro teoria: tutto ciò che esiste, persino il socialismo sovietico, deve perire.
Nulla permane, tutto diviene. Per questo il vero rivoluzionario è Trockij (1879-1940): la rivoluzione è permanente, o non è rivoluzione.
Dunque il fine della rivoluzione è il continuo, incessante cambiamento; è la distruzione dell’esistente.
Non la difesa del lavoro, dei lavoratori, delle minoranze, delle donne, dei poveri e via dicendo. La difesa di questo e di quello è solo uno strumento, un piede di porco per scardinare l’ordine di cose presente.
La difesa dei lavoratori? Chissenefrega, adesso bisogna scardinare famiglia e matrimonio.
La difesa delle donne? Chissenefrega, adesso ci servono gli immigrati.
Inoltre (e cosa ben più importante): se tutto è continuo cambiamento, se tutto ciò che esiste merita di perire, se la contraddizione continua è lo scopo dell’azione politica… come può esistere il tradimento? Tutto ciò che è affermato deve essere contraddetto; tutto ciò che è sostenuto deve essere tradito. È il divenire. È la rivoluzione.
Torniamo al punto. Possibile che intellettuali di vaglia abbiano realmente creduto agli slogan che la sinistra utilizza per giustificare la sua azione distruttrice? Che abbiano davvero riposto fiducia in chi rinnega ogni fiducia? Davvero sono così ingenui da gridare al «tradimento»? Purtroppo temo di si…
da: http://www.lanuovabq.it/it/la-sinistra-non-tradisce-e-trasformista-di-natura