Un articolo del prof. de Mattei sul Partito della Famiglia
“Non chiedo l’abolizione della legge 194 […] non ho “collaborato” con la sinistra. Ne sono stato e ne sono parte attiva. La radicalizzazione della campagna elettorale 2013 […] ha comportato il mio allontanamento dal Pd. Spero temporaneo”
(Mario Adinolfi, in “Campari & de Maistre, Se un cattolico di sinistra vuole la mamma. Un Campari con… Mario Adinolfi”, del 22/03/2014)
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Mattarella, Adinolfi
e la croce democristiana
Il 31 gennaio 2015 Sergio Mattarella è stato eletto dodicesimo presidente della Repubblica italiana.
Tra i più entusiasti per l’evento, si è distinto il direttore de “La Croce”, Mario Adinolfi, che, sullo stesso giornale, il 3 gennaio, ne aveva vaticinato l’elezione.
Tutti ormai sanno chi è Sergio Mattarella, ma pochi ancora conoscono Mario Adinolfi. Wikipedia lo presenta come un «giornalista, politico, giocatore di poker e blogger italiano».
Ha avuto una turbinosa carriera politica, passando dalla Democrazia Cristiana all’ala ulivista del Partito popolare, poi al Partito Democratico (nelle cui fila è stato per pochi mesi deputato) e infine a Scelta civica di Mario Monti.
Nel marzo 2014 Adinolfi ha pubblicato Voglio la mamma. Da sinistra contro i falsi miti di progresso e, per presentare il libro, ha percorso l’Italia costituendo una “compagnia” che comprende la giornalista Costanza Miriano, lo psicoterapeuta Marco Scicchitano, e padre Maurizio Botta dell’Oratorio di San Filippo Neri.
Il successo della tournée ha spinto Adinolfi ad un nuovo più impegnativo passo: la fondazione del quotidiano “La Croce”, che esce in edicola dal 13 gennaio 2015. Si tratta di un’impresa onerosa che, secondo i collaboratori di Adinolfi sarebbe finanziata da una parte delle ingenti somme da lui vinte al tavolo da gioco e dai proventi di Voglio la mamma. Con questa iniziativa Adinolfi si è posto l’ambizioso traguardo di presentarsi come il leader o quantomeno il principale referente di un nuovo soggetto politico-culturale cattolico e ha chiamato i suoi sostenitori ad una prima adunata generale per il 13 giugno a Roma. È il momento dunque di scoprire le carte.
Adinolfi scrive su “La Croce” che bisogna ringraziare il Signore per “il miracolo” dell’elezione di Mattarella ed esalta con queste parole “l’accoppiata” tra Palazzo Chigi e Quirinale:
«Mattarella è un cattolico e lo è anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Attenzione, non si tratta di due cattolici all’acqua di rose, di quelli che dichiarano vaghi riferimenti alla fede e poi affondano in comportamenti pubblici e privati più che discutibili.
Stiamo parlando di due cattolici praticanti, da Santa Messa tutte le domeniche, da una moglie sola, non stitici di figli. E stiamo parlando di due popolari, di due figure rilevanti del fu Partito popolare italiano fondato da don Sturzo. Questa duplice matrice è un unicum, mai nella storia italiana si era verificata una condizione del genere sull’asse tra Palazzo Chigi e il Quirinale. (…) Quel che è certo è che in questo 31 gennaio 2015 l’Italia volta pagina e lo fa con due figli di don Sturzo e due cattolici veri nei ruoli di maggior peso» (“La Croce”, 31 gennaio 2015).
Per ignoranza o per dimenticanza, Adinolfi commette un errore. La VII legislatura della Repubblica italiana ha visto passare, il 22 maggio del 1978, la legge n. 194 che sancisce l’omicidio di Stato, a firma di un’“accoppiata” democristiana: il presidente del Consiglio Giulio Andreotti (che ogni mattina andava a Messa alla chiesa del Gesù) e il presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Entrambi erano figure rilevanti del fu Partito popolare fondato da don Sturzo e ne applicavano coerentemente il programma, ben descritto da Antonio Gramsci: «Il cattolicesimo democratico fà ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida (…). I popolari stanno ai socialisti come Kerensky a Lenin» (I popolari, in “L’ordine nuovo”, 1 novembre 1919).
Mattarella e Renzi raccolgono l’eredità della parte peggiore della Democrazia cristiana, quella cattocomunista, colpevole non solo di aver portato la sinistra al potere, ma soprattutto di aver pesantemente contribuito al processo di scristianizzazione dell’Italia (cfr. lanuovabq.it).
Ma Mario Adinolfi ha fatto i suoi primi vagiti politici proprio in quella corrente politica e ricorda su facebook di essersi spellato le mani, ancora diciassettenne, ad applaudire il leader della sinistra DC Mino Martinazzoli.
Del resto a che pro denunciare il falso mito dell’aborto, se non si individuano le cause del flagello, che in Italia risalgono anche alla responsabilità della classe politica democristiana? Ma Adinolfi afferma di non chiedere l’abolizione della legge 194 (leggi qui).
C’è di più. La battaglia decisiva del 2015 non è, come mostra di credere Adinolfi, quella politica, ma quella che si sta svolgendo all’interno della Chiesa e che avrà il suo redde rationem nel Sinodo di ottobre 2015 sulla famiglia. Una petizione internazionale è in corso per chiedere a Papa Francesco una parola che dissipi la confusione dei fedeli .
Ma su “La Croce” il disagio dei cattolici non appare e sullo scenario drammatico che abbiamo di fronte irrompono coloro che su facebook e su twitter si autodefiniscono “i 4 moschettieri”.
Il loro “d’Artagnan” è un divorziato risposato. Mario Adinolfi infatti si è sposato nel 1991 ma, dopo essersi separato dalla moglie, si è risposato nel luglio 2013 nel Cosmopolitan Hotel di Las Vegas. Qui non è questione della vita privata di Adinolfi. Il punto su cui nel Sinodo si discute è il contrasto tra chi, come il cardinale Kasper, pretende dissociare la dottrina e la prassi cristiana e chi, come il Prefetto della Congregazione per la Fede Gerhard Ludwig Müller, ribadisce che «non c’è la verità senza la vita e non c’è vita senza verità» (“Radio Vaticana”, 2 dicembre 2014). La coerenza è una virtù che ha un fondamento metafisico: il principio di non contraddizione. Il cristiano è sempre logico nella sua fede ed è perciò tenuto alla coerenza. Con che logica un risposato non pentito può condurre una campagna politica e morale in difesa della famiglia cristiana? Il card. Carlo Caffarra ha ben chiarito che: «la Chiesa perdona, ma a condizione che ci sia il pentimento. Ma il pentimento in questo caso significa tornare al primo matrimonio. Non è serio dire: sono pentito ma resto nello stesso stato che costituisce la rottura del vincolo, della quale mi pento» (Intervista a “Il Foglio” del 15 marzo 2014).
Il rischio che si corre è quello di far screditare dai nostri avversari, nella persona di Adinolfi, tutto il fronte dei difensori della famiglia. Come dimenticare inoltre l’importanza di avere, come guide e punti di riferimento, uomini che vivono nella Grazia divina, che è l’unica forza in grado di condurre alla vittoria?
Per Adinolfi le critiche che gli vengono rivolte sono, come ha scritto su “La Croce” del 1 febbraio, «cretinerie ideologiche» (leggi qui).
Una risposta simile, ma con più classe, avrebbe potuto darla Giulio Andreotti a chi gli avesse rimproverato la sua firma alla legge sull’aborto.
La prassi politica prevale sull’affermazione della morale.
Non ho nulla di personale contro Adinolfi, ma il cristiano è una persona che va giudicata nella sua interezza. Dicendo la verità e pregando per lui credo di fare il suo bene meglio di tanti interessati amici che gli stanno a fianco.
Adinolfi spera di riunire al Palalottomatica 15.000 persone. Glielo auguriamo.
Ma la croce dietro la quale i suoi seguaci si schiereranno sarà forse quella democristiana, non certo quella del Calvario, da cui traiamo forza per la nostra battaglia quotidiana in difesa della fede e della Civiltà cristiana.
(Roberto de Mattei, in https://www.corrispondenzaromana.it/mattarella-adinolfi-e-la-croce-democristiana/)