Dal Venezuela parole chiare sui 20 anni di regime socialista: la Costituzione prevede l’autoproclamazione; le elezioni falsificate; l’interesse economico di Russia, Cina e Italia; l’assenza degli USA nel paese; la presenza dei narcos e dei cubani; il coraggio dei vescovi; l’assenza di Roma.
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Marinellys Tremamunno è una giornalista italo-venezuelana, nata e cresciuta a Caracas. A 25 anni ha fondato il giornale Tras La Noticia (2003), che dopo sei anni è stata costretta a chiudere a causa della censura. Attualmente è corrispondente presso la Santa Sede e scrive per La Nuova Bussola Quotidiana, trattando per lo più argomenti legati al Venezuela e all’America Latina. Oltre ad aver pubblicato, in spagnolo nel 2002, Chávez y los Medios de Comunicación Social, è anche autrice, in italiano, di Venezuela: il crollo di una rivoluzione (Arcoiris, 2017). A lei chiediamo quali sviluppi immagina per la crisi in corso nel suo Paese.
Lo scontro istituzionale in Venezuela sfocerà in una guerra civile? «Non credo che si possa parlare di guerra civile in Venezuela perché le armi ce le hanno soltanto le forze armate. Ma senza dubbio c’e malumore fra la truppa perché Maduro ha scontentato tutti coloro che non ha corrotto, mentre molti generali sono coinvolti nel narcotraffico. Non si è mai avuto un colpo di Stato, ma solo il mancato riconoscimento di Maduro».
Repressione, prigionieri politici, fame, emigrazione di massa. Finora la popolazione ha sopportato tutto. Come si può sbloccare la situazione? «Ormai il regime non ha più consenso. In piazza ora ci sono anche gli abitanti delle favelas, quelli che soffrono la fame. Per la prima volta si sono verificati disordini in zone popolari di Caracas, come Petare che ha circa un milione di abitanti. La polizia ha tentato di entrarvi, ma la malavita li ha affrontati. E persino coloro che erano stati armati dal governo, i grupos colectivos, ormai sono in rivolta».
Ma se Maduro non si dimette e non cade, cosa può fare il presidente eletto Juan Guaidó?
«Guaidó ha dovuto fare quello che gli impone l’articolo 233 della Costituzione, secondo il quale, in assenza del presidente della Repubblica democraticamente eletto, il presidente del Parlamento deve «custodire» il potere per indire nuove elezioni. Quindi non è certo Guaidó, come insinua certa stampa, a essersi autoproclamato, quanto piuttosto Maduro, il quale non è legittimamente in carica, poiché le elezioni sono state pilotate da lui mentre dal 10 gennaio il suo mandato è scaduto. Quindi attualmente l’unica istituzione democraticamente eletta è il Parlamento».
Sembra che l’erede di Chavez non riesca ancora a capirlo…
«Ovviamente Maduro cercherà di rimanere per il maggior tempo possibile. Ma legalmente c’è un meccanismo che ci consente di ripristinare la legalità nel nostro Paese. Del resto, la comunità internazionale, tranne pochi Paesi, riconosce Guaidó».
Ecco, con l’eccezione di Mosca e Pechino, per esempio? «Quello fornito da Russia e Cina non è sostegno, ma un interesse economico e ideologico: quelli infatti sono Paesi ancora intrisi di comunismo». Anche a Roma non sanno da che parte stare? «L’Italia, attraverso l’Eni, ha delle concessioni per la produzione e l’esplorazione di gas in Venezuela. Perciò non prende una posizione. E anche dai politici e dalle istituzioni italiani non abbiamo avuto che qualche dichiarazione, ma nessun impegno concreto nemmeno per la comunità italo-venezuelana».
Invece gli Stati Uniti non pensano a sfruttare i giacimenti di petrolio del Paese? «Gli americani certo non si approprieranno del Paese come hanno potuto fare i narcos con la complicità del regime. Inoltre qui stiamo parlando di un Paese coinvolto nel narcotraffico. Tutta la droga che arrriva in Italia passa dal Venezuela, che ha un ruolo centrale anche nel finanziamento del terrorismo islamico, non solo delle Farc e dell’Eln, che invece di consegnare le armi in Colombia le hanno nascoste in Venezuela. Me lo hanno confermato esponenti della Chiesa cattolica che li hanno potuti osservare alla frontiera».
A proposito di Chiesa, l’attuale segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, è stato nunzio apostolico in Venezuela. E adesso è in visita a Panamá, al seguito del Pontefice. Cosa vi attendete da questa visita in America del Sud? «Nonostante le dichiarazioni dei vescovi venezuelani, che hanno denunciato più volte la sofferenza del popolo, purtroppo non capiamo perché il Vaticano non chiami le cose col loro nome e non dica che c’è una dittatura comunista, ma noi venezuelani siamo addolorati per questo atteggiamento della Santa Sede che parla soltanto di pace. Hanno anche mandato il segretario agli Esteri vaticano al giuramento di Maduro, boicottato da tutto il mondo civile. È meglio che non facciano dichiarazioni, invece di andare in direzione opposta alla comunità internazionale».
Andrea Morigi, per Libero del 26/01/2019. Foto da https://infocifrasonline.com/