Con il “Contratto di Governo” i 5Stelle proseguono verso la dittatura gender con la promozione del tavolo LGBT (http://www.unar.it/riunione-del-tavolo-lgbt-presieduta-dal-sottosegretario-spadafora/) e l’UNAR (sì, sempre quella delle orge gay, di Spanò e della Boschi) usa i soldi pubblici per il lavaggio del cervello dei medici (vedere: https://www.osservatoriogender.it/corsi-arcobaleno-con-i-soldi-pubblici/), in Ungheria è in atto il cambiamento più importante.
In base ai numeri forniti dal ministro per la Famiglia, Katalin Novàk, madre di tre figli, l’Ungheria sta già vedendo i primi frutti delle politiche pro family: gli aborti ufficiali sono diminuiti del 30%, dai 40.449 del 2010 ai 28.500 del 2017, e contemporaneamente i divorzi sono scesi da 23.873 a 18.600; nello stesso periodo i matrimoni sono aumentati passando da 35.520 a 50.600, con un incremento di oltre il 42%.
Orban: le vere priorità ed emergenze della politica
Rilanciare le nascite sostenendo le famiglie. Il governo ungherese guidato da Viktor Orbán, proseguendo sulla linea intrapresa fin dal 2010, vuole rendere più efficaci le politiche familiari, con il fine di contrastare la crisi demografica e garantire nuova linfa al Paese. A questo scopo, la prossima settimana inizierà una consultazione nazionale attraverso l’invio di questionari a circa otto milioni di case, per ottenere informazioni e consigli su come realizzare concretamente il piano. Il sottosegretario Csaba Dömötör ha spiegato che il questionario verterà sulle possibili misure di sostegno ai giovani sposi, gli incentivi per incoraggiare le coppie a fare più figli e le opzioni flessibili di impiego per le mamme lavoratrici. Dömötör ha inoltre affermato che entro il 2019 la spesa pubblica per i programmi di politica familiare supererà i due trilioni di fiorini ungheresi (pari a oltre sei miliardi di euro), una somma doppia rispetto a quella stanziata nel 2010.
Il governo ungherese mostra insomma di essere consapevole della necessità di invertire la rotta a livello demografico, ma anziché puntare sull’immigrazione di massa – sponsorizzata dalle stesse élite finanziarie e culturali che sono all’origine delle culle vuote e delle leggi (su divorzio, aborto, unioni gay, eutanasia, ecc.) che stanno sfasciando il tessuto delle nostre società – ha deciso di adottare la ricetta più semplice, fondata appunto sulla famiglia naturale: l’unica possibile e aperta alla vita, dunque capace di assicurare il necessario ricambio generazionale e favorire lo sviluppo.
In base ai numeri forniti dal ministro per la Famiglia, Katalin Novàk, madre di tre figli, l’Ungheria sta già vedendo i primi frutti delle politiche pro family: gli aborti ufficiali sono diminuiti del 30%, dai 40.449 del 2010 ai 28.500 del 2017, e contemporaneamente i divorzi sono scesi da 23.873 a 18.600; nello stesso periodo i matrimoni sono aumentati passando da 35.520 a 50.600, con un incremento di oltre il 42%.
Nei suoi anni al governo, Orbán ha insistito molto sull’importanza di custodire l’identità culturale del suo Paese e le radici cristiane dell’intera Europa, un fatto che non piace a quei leader europei che rinnegano le suddette radici e tutti gli insegnamenti che esse portano con sé. Noto è il discorso che ha tenuto il 28 luglio di quest’anno, quando ha illustrato cinque principi per lo sviluppo di un’Europa centrale che non sia in guerra con la propria storia. Per brevità ricordiamo qui i primi due: «Il primo è che ogni Paese europeo ha il diritto di difendere la sua cultura cristiana, e il diritto di rigettare l’ideologia del multiculturalismo. Il nostro secondo principio è che ogni Paese ha il diritto di difendere il modello di famiglia tradizionale, ed è autorizzato ad affermare che ogni bambino ha il diritto a una madre e un padre».
Secondo quanto detto a LifeSiteNews da Alexander Masir, un ventiduenne ungherese che sta studiando all’Università di Glasgow, le riforme di Orbán «sono un discreto successo. Il tasso di natalità sta crescendo e la sua riforma fiscale significa che le famiglie con quattro o più figli non pagano praticamente nessuna imposta sul reddito o altri contributi». Masir – la cui famiglia, benché più piccola, sta beneficiando delle nuove normative – aggiunge che il governo «finora non è riuscito a capovolgere la perdita demografica, [sebbene] c’è un miglioramento anche in questo campo. Fanno molto per le famiglie numerose, sia nella povertà che nella classe media; comunque, c’è meno successo nell’indurre giovani professionisti ad avere il loro primo o secondo figlio». Una difficoltà che è anche conseguenza della cultura individualista ‘venduta’ abbondantemente negli ultimi decenni e non semplice da sradicare.
Masir fa presente proprio il diverso approccio culturale rispetto al recente passato: «I governi precedenti, in particolare prima del 2010, hanno posto l’accento sull’autonomia individuale anziché sul ragionevole dovere di contribuire alla comunità che ci ha cresciuti». Da qui il disinteresse rispetto alle migliaia di giovani andati all’estero e allo spopolamento delle campagne. Invece, adesso, «accanto alle importanti riforme, la più recente delle quali è il CSOK (un regime di sussidi per la costruzione o l’acquisizione di una prima casa per nuove famiglie), i giovani sono invitati a rimanere nel Paese, a stabilirsi e ad avere famiglie numerose e stabili». Lo studente dice che il governo sta costruendo diversi asili nido, ma allo stesso tempo «viene chiarito che il posto di lavoro è solo una delle molte opzioni disponibili per le donne», a sottolineare la dimensione centrale della maternità. Insomma, una serie di idee oggi politicamente scorrette, ma rivelatrici di un buonsenso perlopiù smarrito e su cui vale la pena tornare a investire.
di Ermes Dovico, per http://www.iltimone.org/news-timone/lungheria-politica-sorride-alle-famiglie/